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Ultima tappa, in questa forma, del nostro percorso di riflessione sul tema della fiducia. Dopo le interventi di Luca De Biase, Patrizia Ravaioli, Francesco CancellatoMarco Annoni, Mattia Diletti, Ezio Manzini e Dino Amenduni, Paolo Venturi, Stefano Mirti, Leonardo Previ, Paolo Verri, Flaviano Zandonai, Marta Mainieri, Francesco Galtieri e Claudio Calvaresi pubblichiamo oggi altri spunti che abbiamo ricevuto in risposta al nostro questionario online. Ci ritroveremo poi tra qualche settimana con una analisi complessiva di tutti gli input che avete condiviso con noi. Grazie per la fiducia che ci avete accordato 🙂
 
Giovanni Teneggi – Confcooperative 

In quali ambiti pensi sia più urgente o importante affrontare il tema della creazione di fiducia? Con che prospettiva pensi che abbia senso occuparsene?

La fiducia è un carattere della personalità prima individuale poi sociale. Il deficit di fiducia è innanzitutto un’urgenza pedagogica che segnala la crisi delle istituzioni di vita e prossimità nelle quali questo carattere si genera naturalmente e per esperienza comune. Spesso nel rispondere a questa domanda rispondiamo economia – riferendoci ai consumi -, politica – riferendoci a consenso e partecipazione -, sociale – riferendoci a sicurezza e pace sociale- ma non è da meccanismi economici, politici o sociali che generiamo fiducia, da lì ne ripariamo i deficit attraverso pratiche di scambio e contrattuali. La fiducia nasce dalla persona e ne è carattere. E’ misura della sua personalità sociale, istituzionale e comunitaria. E’ misura di un rapporto profondo di attesa e progetto con la vita, le persone e i luoghi. Per questo l’urgenza è pedagogica e non si risolve se non riallestendo istituzioni fisiche comunitarie, sociali e politiche di prossimità e relazione.

Da cosa deriva, secondo te, la crisi di fiducia in cui siamo immersi? Indica le tre principali cause scatenanti che ti sembrano più rilevanti. Cosa si intende per te fiducia? 

Le tre principali cause: l’affermazione dell’individualismo assoluto come tratto di una società buona e libera; il primato della dimensione virtuale/globale/dematerializzata su quella reale/locale/fisica; il fallimento del mito della pacificazione sulla crescita illimitata. Fiducia è un carattere sociale perchè personale e riguarda il rapporto individuale con la vita e fra le generazioni.

A livello teorico, conosci riferimenti utili a spiegare i meccanismi alla base della creazione di fiducia? Un articolo, un paper, un libro, una ricerca che consideri particolarmente rilevante? Una analisi da cui pensi sia utile partire?

I Vangeli, La Luna e i falò di C.Pavese, Marcovaldo di I.Calvino, Il Giro del Mondo in 80 giorni di J.Verne, Laudato si di Papa Francesco.

Come si trovano i nuovi “intermediari di fiducia”? Che azioni ci consiglieresti di intraprendere per intercettarli?

Nei processi politici, economici e sociali i produttori di fiducia che ne alimentano il buon esito difficilmente si trovano all’inizio in qualità di programmatori o alla fine come leader. Si trovano in mezzo, sul terreno, a favorirne e renderne possibile lo sviluppo. Occorre andare sul campo, intervistare gli attori e fare memoria di nomi e luoghi laterali al racconto ma ricorrenti e decisivi alla storia. Sono i facilitatori e i gratuiti senza ruolo. In ogni ambiente, che sia un’impresa, un’istituzione, un’associazione, un paese, un quartiere spesso ci si accorge di loro quando qualcosa interrompe la loro presenza.

C’è una persona o una organizzazione che per te rappresenta l’esempio perfetto di un “generatore di fiducia”? Un soggetto di cui ti fidi, che rappresenta un punto di riferimento per rispondere a dei bisogni o che ispira la tua percezione del mondo e del tuo impegno civico? Che cosa gli attribuisce queste capacità?

1) Claudia – mia moglie; 2) Ricardo Stocco (pres. coop Scherìa Tiriolo); 3) Carminio Gambacorta (pres. coop Laboratorio Lesignola); 4) Paolo Rizzi (direttore LEL UniCatt Piacenza). Per questi caratteri: capacità di sognare/visionarietà; attenzione alle persone; coerenza di vita e professionale; trasparenza di agiti e obiettivi; onestà; capacità di attivazione degli altri; umiltà/modestia.
 
Alessandro Fusacchia – RENA e Movimenta 

In quali ambiti pensi sia più urgente o importante affrontare il tema della creazione di fiducia? Con che prospettiva pensi che abbia senso occuparsene?

Rapporto cittadini-istituzioni. Ormai mancano le fonti di autorevolezza, pubbliche e private, e il primo che si alza e dice che vaccinare i figli uccide, invece che salvarli, genera followers invece che un bel ricovero coatto. Mi sono convinto con gli anni che molto possa fare la politica, intesa come luogo in assoluto più potente dove “dare l’esempio”. L’unico senso che ha provarci di persona, a proprio rischio e pericolo, sta nella certezza granitica che uno sbaglierà parecchie volte, ma nemmeno una volta si farà corrompere. Non solo con le mazzette. Mentalmente, intendo.

Da cosa deriva, secondo te, la crisi di fiducia in cui siamo immersi? Indica le tre principali cause scatenanti che ti sembrano più rilevanti. Cosa si intende per te fiducia? Fiducia verso la Comunità e il prossimo? Fiducia per le Istituzioni o altro?

Alle volte penso che ciascuno di noi, quando le cose sembrano andare abbastanza bene, abbia bisogno di crearsi dei mostri da combattere per sentirsi vivo. Il problema è che anche in questo ci sono i professionisti. E poi penso che a forza di fare promesse che nessuno ha mai mantenuto, la gente abbia perso fiducia nelle parole. Mentre sui fatti, temo che abbiano smesso da tempo di andare di moda.

A livello teorico, conosci riferimenti utili a spiegare i meccanismi alla base della creazione di fiducia? Un articolo, un paper, un libro, una ricerca che consideri particolarmente rilevante? Una analisi da cui pensi sia utile partire?

Credo valga la pena di rileggersi alcuni romanzi di M. Kundera. Il Valzer degli addii, ad esempio.

Chi sono le “fonti di informazione” credibili quando si parla di fiducia in Italia? C’è un istituto di ricerca, un sito, uno studio che ti ha aiutato a rispondere alla domanda “di chi si fidano gli italiani?

Mi pare che la gente si fidi ancora di cose come Banca d’Italia o dell’Istat. Di quelli che sono ancora considerati credibili quando danno i dati. Ma ormai trema tutto, è solo questione di tempo (risposta data il 02/10/2017).

Come si trovano i nuovi “intermediari di fiducia”? Che azioni ci consiglieresti di intraprendere per intercettarli?

Non esiste costruzione di fiducia senza esperienza diretta e personale. Il resto, quando va bene, può essere al massimo apertura di credito. Quindi gli intermediari si trovano sui territori, a tenere insieme pezzi di comunità che altrimenti farebbero fatica a parlarsi.

C’è una persona o una organizzazione che per te rappresenta l’esempio perfetto di un “generatore di fiducia”? Un soggetto di cui ti fidi, che rappresenta un punto di riferimento per rispondere a dei bisogni o che ispira la tua percezione del mondo e del tuo impegno civico? Che cosa gli attribuisce queste capacità?

RENA, perché è cambiata tanto in dieci anni, ma in fondo non è cambiata per nulla. Come persone Emma Bonino, perché l’ho conosciuta di persona e da vicino ed è assolutamente e profondamente autentica. Un’altra persona che non conosco ma che non può non essere qualcuno che genera naturalmente fiducia è Alex Zanardi.
 
Daniele Dodaro – Squadrati 

In quali ambiti pensi sia più urgente o importante affrontare il tema della creazione di fiducia? Con che prospettiva pensi che abbia senso occuparsene?

Il tema di creazione di fiducia applicato al sociale rischia di sconfinare nel buonismo, e di interessare solo una parte delle persone. Il grande tema banalmente è secondo me quello della fiducia nella politica e nelle istituzioni.

Da cosa deriva, secondo te, la crisi di fiducia in cui siamo immersi? Indica le tre principali cause scatenanti che ti sembrano più rilevanti. Cosa si intende per te fiducia? Fiducia verso la Comunità e il prossimo? Fiducia per le Istituzioni o altro?

La risposta ovvia sarebbe la crisi finanziaria, ma credo ci sia un più ampio senso di fine e catastrofe che aleggia nei nostri tempi (c’è un design della catastrofe, un cinema della catastrofe ecc.), che è pervasivo e che abita in tantissime persone e che a volte si riaccende per minacce immaginarie (Millenium Bug, Maya) e a volte per minacce reali (global warming, kim jong un, terrorismo). L’assenza di una visione del futuro, la negazione di prospettiva, rende questi anni diametralmente opposti agli anni 50-60. In ogni caso, se penso a crisi di fiducia penso direttamente al tema della politica istituzionale e le prime cose che mi vengono in mente sono l’ondata di antipolitica, l’astensionismo, antieuropeismo mascherato da altreuropeismo, un iper-localismo esaperato e in generale un forte egoismo: perché l’assenza di fiducia, nel prossimo come nel governo e nelle istituzioni, inevitabilmente porta all’agire individualistico, al pensare per sé, al mettersi in salvo ecc.

A livello teorico, conosci riferimenti utili a spiegare i meccanismi alla base della creazione di fiducia? Un articolo, un paper, un libro, una ricerca che consideri particolarmente rilevante? Una analisi da cui pensi sia utile partire?

Il lavoro di Georg Simmel e di Erving Goffman. Forse in parte anche il lavoro di Moscovici (Serge, lo psicologo sociale, non il politico) 🙂
Come si trovano i nuovi “intermediari di fiducia”? Che azioni ci consiglieresti di intraprendere per intercettarli?

Non lo so. Probabilmente traviato dalla mia esperienza nelle social street, mi viene da pensare che la fiducia oggi stia nelle piccole cose e realtà e non nelle grandi istituzioni e che dunque gli intermediari siano spesso attori piccoli, locali, diffusi, ma frammentati.

C’è una persona o una organizzazione che per te rappresenta l’esempio perfetto di un “generatore di fiducia”? Un soggetto di cui ti fidi, che rappresenta un punto di riferimento per rispondere a dei bisogni o che ispira la tua percezione del mondo e del tuo impegno civico? 

Onestamente? No 🙂
 
Erika Lazzarino e Luca Garibaldo – Dynamoscopio 

In quali ambiti pensi sia più urgente o importante affrontare il tema della creazione di fiducia? Con che prospettiva pensi che abbia senso occuparsene?

La fiducia che abbiamo è che la sfiducia, la quale cresce nella diseguaglianza, genera recessione. Non crediamo che la fiducia sia un ‘materiale sociale’ che si possa ‘creare’ (progettare, anticipare). Quel che si può fare è lavorare a ridurre le diseguaglianze, redistribuire risorse e patrimoni, costruire contesti di prossimità. La prospettiva deve anzitutto essere politica (diritti civili, sociali, economici). In secondo luogo la prospettiva è culturale, dunque antropologica.

Da cosa deriva, secondo te, la crisi di fiducia in cui siamo immersi? Indica le tre principali cause scatenanti che ti sembrano più rilevanti. Cosa si intende per te fiducia? Fiducia verso la Comunità e il prossimo? Fiducia per le Istituzioni o altro?

La prima causa siamo noi, cioè voi, che alimentiamo le retoriche (dell’innovazione sociale) del ‘farcela con le proprie forze’, altrimenti sei un outsider della società. La fiducia, allora, diventa l’ultima risorsa di cui un individuo dispone, gli togliamo anche quella. La seconda causa, l’abbiamo detto, è la disequità. La terza è l’uso criminale che si fa della fiducia (marketing politico, populismo, credulità). Fiducia è credere, in accezione antropologica: una transazione sociale, che scambia il tempo a venire con qualcosa che si desidera ora. Fiducia è accordare che qualcosa che non è sia possibile. Speranza, dunque.

A livello teorico, conosci riferimenti utili a spiegare i meccanismi alla base della creazione di fiducia? Un articolo, un paper, un libro, una ricerca che consideri particolarmente rilevante? Una analisi da cui pensi sia utile partire?

Stiglitz, La grande frattura, 2017; De Certau, La pratica del credere, 2007; Nash, Social Movements, 2005; Appadurai, Il futuro come fatto culturale, 2014; Leopardi, Canto notturno di un pastore errante per l’Asia, 1829-30.

Chi sono le “fonti di informazione” credibili quando si parla di fiducia in Italia? C’è un istituto di ricerca, un sito, uno studio che ti ha aiutato a rispondere alla domanda “di chi si fidano gli italiani?

Pippo Baudo.

Come si trovano i nuovi “intermediari di fiducia”? Che azioni ci consiglieresti di intraprendere per intercettarli?

Crediamo che la fiducia non sia di per sè un oggetto di intermediazione. Siamo però dell’idea che i movimenti sociali, anche a micro scala, si aggreghino intorno a desideri, proiettati in avanti da gruppi/singoli che ne assumono la leadership. Vi sono dunque ‘leader di speranza’, piuttosto che intermediari di fiducia. Anche il tuo panettiere può esserne uno.

C’è una persona o una organizzazione che per te rappresenta l’esempio perfetto di un “generatore di fiducia”? Un soggetto di cui ti fidi, che rappresenta un punto di riferimento per rispondere a dei bisogni o che ispira la tua percezione del mondo e del tuo impegno civico? 

Non esiste un modello. La fiducia è imperfetta.
 
Davide Rubini – RENA 

In quali ambiti pensi sia più urgente o importante affrontare il tema della creazione di fiducia? Con che prospettiva pensi che abbia senso occuparsene?

Tre idee.
Uno. Non credo esista un concetto più universalmente applicabile o spendibile di quello di fiducia. Pensare di poter individuare un ambito in cui sia più urgente o importante affrontarlo equivarrebbe a sostenere che esistano tipologie di relazioni umane positive e positivizzanti teoricamente possibili o sostenibili senza un presupposto di fiducia tra gli individui che le partecipino.
Due. La fiducia è “un’attribuzione di potenzialità conformi ai propri desideri, sostanzialmente motivata da una vera o presunta affinità elettiva o da uno sperimentato margine di garanzia” (cit.), in altre parole una sensazione che implica la volontà, tendenzialmente ingiustificata e ingiustificabile, di compiere quel salto nel vuoto che consente di abbracciare l’altro e intrecciare con questi una qualche forma di relazione. Pensare di ridurre la riflessione sul concetto di fiducia ad un paradigma razionalista, ad una formula, o a qualcosa di misurabile è dunque fuorviante e pericoloso.
Tre. Nel suo essere impossibile da giustificare perfettamente la fiducia si rivela essere piuttosto un’inclinazione, una predisposizione che affonda le proprie ragioni d’essere in una regione che va ben oltre l’universo del conscio. La vita succede e ognuno di noi si scopre in grado di poter interagire con il prossimo partendo da un livello di apertura più o meno elevato, affidandosi in misura prevalente ad uno o all’altro dei seguenti due paradigmi: fidarsi fintanto che non si creino le condizioni per cui sia opportuno smettere di fidarsi (1), o non fidarsi fintanto che non si creino le condizioni per cui sia opportuno cominciare a fidarsi (2). Questa differenza di atteggiamento è così radicale da poter spiegare addirittura i cicli della storia dell’umanità. Ogni volta che in un periodo storico sono prevalse (perché più numerose o perché in grado di conquistare i centri di potere) le persone che si riconoscono in 1 è aumentato il livello di cooperazione, integrazione, pace, coesione sociale, ogni volta in cui siano prevalse le persone che si riconoscono in 2 sono emersi conflitti, discriminazione, soprusi, violenza.
Se si tenessero presenti i tre punti precedenti lavorare sulla creazione di fiducia dovrebbe piuttosto essere riformulato come il lavorare sulla creazione delle opportunità di prossimità in cui spendere la propria reputazione nel tentativo guadagnare fiducia e in cui sperimentare i benefici del darla. Secondo questa logica invece di dire “è venuta meno la fiducia” dovremmo dire “sono venute meno le occasioni per darla e per guadagnarsela, sono venuti meno contenitori sociali ben definiti, di cui sentirsi parte, caratterizzati da un livello minimo di sicurezza (fisica, culturale, ed emotiva) in cui provare ad espandere la propria e l’altrui “zone of trust”. E a questo aggiungere un briciolo di fatalismo umanista senza dimenticare che fidarsi ciecamente o fidarsi ad oltranza è almeno tanto sciocco quanto non fidarsi mai di nessuno.

Da cosa deriva, secondo te, la crisi di fiducia in cui siamo immersi? Indica le tre principali cause scatenanti che ti sembrano più rilevanti. Cosa si intende per te fiducia? Fiducia verso la Comunità e il prossimo? Fiducia per le Istituzioni o altro?

Andando oltre quanto detto sopra se davvero ci trovassimo in una situazione di basso tasso di fiducia – qualcuno certamente lo avrà misurato – dovremmo ipotizzare che questa sia dovuta alla disintegrazione di spazi condivisi e di opportunità di prossimità, allo sfarinamento delle comunità di destino tradizionali, alla polverizzazione delle narrazioni collettive, alla moltiplicazione dei piani identitari che aumentano il grado di libertà degli individui al costo di un ridotto livello di lealtà. Allo stesso modo individuare i nuovi potenziali motori della fiducia significherebbe andare alla ricerca delle occasioni e degli spazi di incontro prediletti, in altre parole individuare dove la gente si frequenta abitualmente. Trovati i luoghi, bisognerebbe capire se questi consentono a chi li bazzica di sentirsi sufficientemente sicuro da potersi esprimere con un senso di libertà e serenità congruo. Se così non fosse si dovrebbe studiare un modo per aumentare il livello oggettivo di sicurezza di questi luoghi in modo di consentire alle interazioni di “fiorire”, esprimere il proprio più alto potenziale, e permettere alle persone di fare l’esperienza del potere positivizzante e creativo del sentimento della fiducia.
Esempio: potremmo dire la gente oggi si incontra sui social media, i social media rappresentano un’opportunità di prossimità, sfortunatamente sui social media ad oggi non esistono condizioni minime di sicurezza, al contrario il vilipendio e l’insulto sembrano la cifra di default delle interazioni sperimentate in questi luoghi, i social media vanno regolati e controllati per infondere in chi li frequenta un ragionevole minimo senso di sicurezza e la sensazione di potersi esprimere senza correre il rischio di incorrere in un linciaggio, virtuale o meno. Come il denaro la fiducia è una riserva di valore ed è dunque trasferibile, una volta generata può essere applicata in un contesto completamente diverso da quello di origine.
Ecco allora come completare la missione descritta sopra: all’individuazione dei poli di interazione e alla loro messa in sicurezza si deve aggiungere il trasferimento da un contesto di interazione all’altro di quei soggetti che imparano a prediligere l’atteggiamento 1 (mi fido fino a quando non ho un motivo per non farlo). Infine, si dovrebbe lavorare per consentire a queste persone di emergere e di occupare posizioni di rilievo nella società. Con il rischio di semplificare e di offrire una lettura eccessivamente manichea si potrebbe raccontare questo processo come una sorta di lotta tra vampiri buoni e vampiri cattivi, in cui per poter far vincere i vampiri buoni è necessario normare i contesti i cui i membri dei due gruppi si incontrano più frequentemente fino a far emergere le condizioni in cui comportarsi da vampiro buono diventi l’atteggiamento premiante.

C’è una persona o una organizzazione che per te rappresenta l’esempio perfetto di un “generatore di fiducia”? Un soggetto di cui ti fidi, che rappresenta un punto di riferimento per rispondere a dei bisogni o che ispira la tua percezione del mondo e del tuo impegno civico? Che cosa gli attribuisce queste capacità?

Essendo ormai un citizenofnowhere devo inevitabilmente pescare nel passato e parlare della parrocchia in cui sono cresciuto e della società calcistica che mi ha portato a calpestare tutti i campetti in terra battuta e ghiaia della provincia torinese. Entrambi erano luoghi guidati e definiti dalla condotta di un leader naturale che rivestiva un ruolo istituzionale interpretato come una funzione di servizio. Erano luoghi sicuri, con dei codici comunicativi chiari e delle regole formali e informali ben conosciute da tutti i “soci”, erano spazi permeati da un forte senso di appartenenza e un solido sentimento di condivisione e in cui bene o male tutti sapevano che cosa serviva per ricevere un apprezzamento. Questi due luoghi della mia infanzia e della mia adolescenza non erano perfetti, lungi dall’esserlo, ma davano ordine alle mie giornate e concretezza ad un’idea di moralità concedendo un’illusoria, ma utile, prospettiva di prevedibilità. Fidarsi in contesti del genere era facile, imparare a farlo naturale. Oggi… beh oggi cose così sembrano fantascienza, ma se parlassimo un po’ meno di innovazione sociale e un po’ più di (ri)costruzione sociale… forse, forse…
 
Alessia Rochira – Università del Salento 

In quali ambiti pensi sia più urgente o importante affrontare il tema della creazione di fiducia? Con che prospettiva pensi che abbia senso occuparsene?

Credo che gli ambiti in cui sia più urgente una “iniezione di fiducia” siano due. Quello che inserisce al rapporto cittadino-istituzioni (un classico!) e quello che inserisce al rapporto di ciascun cittadino con se stesso (forse meno considerato). Per quanto concerne il primo ambito, probabilmente c’è tanto da dire da, molteplici prospettive differenti. A rischio di sembrare “campanilistica” (mi occupo di psicologia sociale e di comunità), credo che sarebbe molto utile adottare una prospettiva psicosociale la quale, ad esempio, è in grado di approfondire se e fino a che punto certi modelli “tradizionali” (es. il modello dell’attore razionale) si adattano a spiegare le scelte, gli atteggiamenti, le motivazioni, i comportamenti, etc. dei cittadini rispetto alle istituzioni. Domande come: a che condizioni un organismo viene considerato “degno di fiducia”? Queste condizioni valgono per tutti i cittadini allo stesso modo senza differenze di sesso, età, livello di istruzione, etc.? Questi sono solo alcuni esempi. Si parla tanto di compliance in ambito medico, forse un po’ meno in ambito “normativo”. Molti studi si interrogano perché le persone seguono le prescrizioni/indicazioni del medico. Ebbene, credo che possa essere utile una prospettiva psico-sociale che aiuti a comprendere perché, a che condizioni, i cittadini aderiscono a certe scelte/indicazioni pubbliche (a costo di semplificare). Per quanto concerne il secondo ambito, sempre peccando di “campanilismo”, si guarda spesso al concetto di fiducia in un’ottica prevalentemente privatistica. I testi, anche di mutuo-aiuto, sul come acquistare fiducia in se stessi abbondano (talvolta purtroppo). C’è da chiedersi, a questo riguardo, se le persone “si fidano” del loro essere cittadini. Assistiamo, sempre più di frequente, a manifestazioni privatistiche della cittadinanza. Della serie, mi penso come cittadino ma solo con riferimento alla mia sfera privata. Faccio un esempio. Nella mia città, Lecce, ogni anno si festeggia il santo patrono con l’allestimento di un piccolo luna park per tre giorni. Per molto tempo, l’amministrazione comunale ha chiuso un occhio sulla rigidità del termine. Quest’anno, invece, ha deciso di fare “rispettare le regole” con il risultato che molti cittadini (e i loro figli) non hanno potuto usufruire delle giostre. Ci sono stati residenti che hanno protestato, sostenendo che i loro diritti non sono stati rispettati: la felicità dei bambini viene prima del rispetto delle regole. Ebbene, alla luce di questo penso che vada recuperato il concetto di cittadinanza in un’ ottica pubblica così come il legame sistemico fra i cittadini ed il copro sociale. Al riguardo, sarebbe interessante approfondire il tema della fiducia in relazione a quello della cittadinanza globale (es. citizenship identification).

Da cosa deriva, secondo te, la crisi di fiducia in cui siamo immersi? Indica le tre principali cause scatenanti che ti sembrano più rilevanti. Cosa si intende per te fiducia? Fiducia verso la Comunità e il prossimo? Fiducia per le Istituzioni o altro?

Ci sono diverse cause che elenco non in ordine di priorità. 1) la percezione di insicurezza sociale; 2) la cultura dominante che intendo come quei modelli cognitivi generali e astratti che aiutano tutti noi a rendere sensate le nostre scelte, comportamenti, azioni, rapporti, insomma ci permettono di orientarci nel mondo, sociale e reale; 3) L’effetto iatrogeno dei social media, ovvero la scarsa percezione di responsabilità, soprattutto nella “realtà virtuale”, il deterioramento dell’accountability, tanto a livello pubblico quanto a livello privato, la crisi del sistema educativo formale – generalmente inteso); 4) la scarsa percezione dell’essere cittadini, ovvero dell’essere all’interno di un sistema sociale che mi influenza e posso influenzare. Per fiducia intendo sia un prodotto-outcome, ovvero uno stato o condizione (misurabile), che un processo, ovvero il “fare affidamento su”, detto altrimenti i meccanismi che producono la fiducia. Come processo la fiducia è sempre bidirezionale, coinvolge sempre un’alterità (es. un’altra persona, un gruppo, una comunità, un’istituzione, il futuro, etc.) ed è mutuale, ovvero ognuno è attore di fiducia (nel senso che dà e riceve fiducia). Penso che molta attenzione sia stata dedicata alla fiducia come prodotto-outcome, e meno alla fiducia come processo, che come tale è dinamico e soggetto a continue fluttuazioni e cambiamenti (non lineari).

A livello teorico, conosci riferimenti utili a spiegare i meccanismi alla base della creazione di fiducia? Un articolo, un paper, un libro, una ricerca che consideri particolarmente rilevante? Una analisi da cui pensi sia utile partire?

Ecco (solo) alcuni titoli:

The Psychology (and Economics) of Trust di Anthony M. Evans e Joachim I. Krueger.

Community Psychology, Political Efficacy, and Trust di Anderson.
The psychological underpinnings of democracy: A selective review of research on political tolerance, interpersonal trust, and social capital di Sullivan e Transue.
I lavori di Putnam sul capitale sociale e tutta la bibliografia che ne è derivata.
The social psychology of procedural Justice e Why people obey the law di Tom Tyler
Political Democracy, Trust, and Social Justice a cura di Andrain e Smith
La cittadinanza attiva di Terri Mannarini Mannarini

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