Continua lo speciale in preparazione della Summer School RENA su Buon Governo e Cittadinanza Responsabile (Matera 27 agosto – 4 settembre). Questa settimana pubblichiamo un articolo di Christian_Iaione, tratto dalla lezione che terrà a Matera, mercoledì 31 agosto, dal titolo “La città come bene comune”.
Vincoli sempre più stringenti ai bilanci degli enti locali, imposti dalla disciplina comunitaria in materia di patto di stabilità e derivanti dalla dimensione del debito pubblico italiano, oltre alla riduzione dei trasferimenti statali conseguente all’aggravamento dei conti pubblici italiani a seguito della crisi finanziaria del 2008, hanno indotto gli enti locali a ridurre il proprio intervento a favore dei bisogni della comunità locali. La riduzione delle risorse pubbliche non ha riguardato solo i servizi alla persona, ma sta incidendo fortemente anche sull’ambiente urbano e su quelli che possono definirsi “beni comuni locali” o “beni di comunità”.
La crescente penuria di risorse pubbliche fa il paio con una crescente disaffezione dei cittadini, in particolare quelli di più giovane età, verso la preservazione, la cura e il mantenimento dei luoghi di vita e aggregazione dove si svolge la vita comunitaria. Molto probabilmente questa disaffezione trova origine anche in una scarsa opera di educazione alla cittadinanza da parte delle singole famiglie e della scuola.
Questi fattori nel loro insieme hanno determinato un pericoloso aggravamento del degrado locale e urbano. Per tale si intende quello che sta incidendo sull’assetto e aspetto fisico delle comunità locali, con particolare riguardo ai beni comuni materiali. Interessano qui solo quelli materiali, dunque, e in particolare quelli caratterizzati da una particolare “rilevanza culturale” (i.e. storica, artistica, architettonica, paesaggistica). Ma non solo. Rilevano qui anche quei beni che, pur non essendo caratterizzati dalla predetta rilevanza, rappresentano comunque un collante delle società locali e il cui degrado determina un degrado economico e sociale, diretto o indiretto delle collettività locali.
In definitiva, vi rientrano tutti quei beni che siamo abituati a considerare “spazi pubblici”, intesi come spazi di tutti e quindi “spazi comuni”, pubblici solo in quanto finora sono stati affidati prevalentemente alla cura delle amministrazioni locali. La caratteristica comune degli spazi comuni è proprio quella di essere funzionali allo svolgimento della vita sociale delle comunità considerate (es. una piazza, un parco, una rotatoria, un sentiero di montagna, ecc.) anche se non rivestono sempre la predetta rilevanza culturale.
Per questi beni la “cura pubblica”, cioè quella affidata prevalentemente ai poteri pubblici locali, si sta rivelando insufficiente. Questo sia per ragioni economiche, derivanti dal progressivo rarefarsi delle risorse finanziarie pubbliche, sia per la scarsa capacità della p.a. di fare intelligenza collettiva, cioè di mettere a sistema il patrimonio conoscitivo e di competenze presente nella società e di far cooperare tra loro le diverse energie civiche per la cura di questi beni comuni locali.
È, dunque, necessario mobilitare risorse ulteriori, aggiuntive rispetto a quelle pubbliche. È inevitabile che la ricerca di queste risorse sia indirizzata verso la società, organizzata o meno, nell’ambito di un’azione programmata e coordinata di lotta al degrado dei beni comuni locali che sia incentrata questa volta su una “cura civica” dei medesimi. Ed è altrettanto imprescindibile la ricerca di strumenti e strutture idonei a facilitare questo cambio di filosofia incentrato sullo scambio, la collaborazione, la messa a sistema di tutti gli attori; quelli pubblici dotati di poteri, risorse e mezzi indispensabili per la buona cura dei beni comuni; e quelli sociali disponibili a mettere in campo le proprie energie, risorse, conoscenze, competenze per prendersi cura dei beni di comunità.
di Christian Iaione