(Articolo di Andrea Danielli apparso con alcune differenze su Che Futuro l’8 gennaio 2014)
Per quanto su questo sito si pubblichino molte storie coraggiose e idee innovative, là fuori la realtà rimane impassibile. Una domanda mi assale da tempo: perché i miei coetanei non si ribellano alla loro condizione? Per evitare di arrabbiarmi troppo con i miei amici ho ipotizzato un modello di tipo economico, pur non essendo io un economista, e forse è un vantaggio perché mi sembra di aver prodotto delle idee molto semplici.
Da un punto di vista personale, agire per cambiare le cose ha costi e benefici. I costi sono dati dal tempo sottratto ad attività di riconosciuto piacere: fidanzata/o, gioco, sport, cinema, arte, shopping, hobby, feste. Ci sono anche costi economici, visto che l’impegno è per lo più volontario e gratuito, dovuti al tempo sottratto al lavoro.
I benefici psicologici derivano dall’avere la coscienza pulita, o dal piacere intellettuale di confrontarsi con sfide complesse; le soddisfazioni nascono dal riconoscimento del proprio sforzo da parte di una comunità, dall’incontro con persone interessanti che arricchiscono la propria esperienza di vita.
Perché ognuno di noi abbia intenzione di partecipare alla “rivoluzione”, i benefici devono superare i costi; ma come si valutano costi e benefici, secondo quali principi?
Occorre ora approfondire la psicologia quotidiana delle persone. In genere, nel nostro tempo libero, tendiamo a massimizzare il piacere; se disegniamo un grafico che abbia le ore sulle ascisse, il piacere sulle ordinate, rendendolo simmetrico per semplicità, il nostro tempo libero dovrebbe assomigliare a un imbuto[1]: in basso le attività spiacevoli, ridotte all’osso, in alto quelle più piacevoli. L’inclinazione dei lati varia in base a quanto siamo edonisti e a quante responsabilità dobbiamo prenderci. Quando siamo dei giovani studenti, e viviamo con i genitori, tolto lo studio, ci troveremo davanti a un triangolo ottuso: usciamo tutte le sere per divertirci, abbiamo pochi impegni noiosi (pulire la stanza, prenderci cura dei fratelli…). Crescendo, la forma si avvicina a un trapezio. Il buon padre di famiglia ha una base più ampia dello studente: perché deve prendersi cura dei piccoli, fare la spesa, pulire casa. Avrà meno tempo per divertirsi.
La figura dell’imbuto può essere utile anche per visualizzare il rapporto noia-soddisfazione di attività volontarie (il nostro “cambiamento”). Per un novizio siamo ancora di fronte a un triangolo ottuso (capovolto rispetto a prima): un’ampia base di attività noiose sono richieste all’inizio per imparare, per conoscere gli altri membri della comunità, per conquistarsi la loro fiducia con piccole operazioni non stimolanti. Poche soddisfazioni, al vertice. Migliorando, conquistandosi la stima altrui, si crea il trapezio: meno attività noiose, più soddisfazioni, attraverso “allenamento”. Le star riescono addirittura a invertire la base: poca routine, per lo più delegata, molto tempo a raccogliere il frutto della propria bravura.
Proviamo ora a far incontrare le due figure geometriche, e a fare qualche considerazione sul modo in cui dobbiamo intervenire per adattarle reciprocamente. Poniamo di essere degli edonisti, e di volerci misurare con una nuova attività volontaria: dove andremo a prendere il tempo che ci serve? Se proviamo a sottrarlo alle attività noiose, ma solitamente essenziali, peggioriamo di molto la qualità della nostra vita. Ecco degli esempi: risparmio sul tempo dedicato alla spesa? Mi trovo il frigo vuoto. Risparmio sulle pulizie? Non ho più abiti puliti, casa mia diventa invivibile. Occorre allora intervenire sulle ore di maggiore qualità percepita. Diversamente, una persona “trapezoidale”, potrà sottrarre un po’ di tempo dall’insieme delle attività, non incidendo solo sul piacere: tendenzialmente si sforzerà di essere più efficiente nei compiti di routine.
Una prima considerazione: è più probabile che si impegni per il bene comune qualcuno che è più abituato a gestire attività sentite come necessarie piuttosto che un edonista.
Aggiungiamo un secondo aspetto: la quantità assoluta di tempo libero. Non è raro che le persone più in gamba siano quelle con meno tempo libero: professionisti, imprenditori, ricercatori, precari. Chi ha molto tempo libero, perché disoccupato, ha invece molti problemi psicologici da combattere: depressione, frustrazione. Per entrambe le categorie, entrare nel cambiamento costa parecchio. I primi pensano “lavoro 70 ore a settimana, quando ho tempo mi devasto”, i secondi “già la vita è uno schifo, perché rovinarsela con la politica?” Sono degli edonisti forzati.
Seconda considerazione: chi ha poco o troppo tempo libero raramente riesce a partecipare al cambiamento. A meno che non riesca a ricavarne grande soddisfazione, che in un caso bilancia il trade-off piacere-tempo, in un altro nobilita una vita avara di successi.
Ebbene, guardando i miei coetanei, temo rientrino negli estremi, perché costretti a lavorare molto o disoccupati, e siano tendenzialmente edonisti, per cultura. Per loro ogni ora sottratta al proprio piacere ha un costo molto elevato che si scontra con un ritorno inizialmente basso. Il volontariato è come lo sport: all’inizio ti diverti poco perché non sei capace, hai bisogno di superare le prime fasi di goffaggine e di crederci, per fare gioco di squadra e divertirti davvero.
Se provi a iscriverti a un partito o associazione, la prima riunione non passa mai: non capisci come sia possibile perdere così tanto tempo in chiacchiere; scrivere il primo articolo richiede tre/quattro settimane. Ci sono delle barriere all’ingresso: capacità e numero di iscritti alla comunità. La nostra bravura non è innata: ci vogliono tempo, pratica e correzioni per imparare a scrivere. Ci vogliono fonti: se ci sono più persone che scrivono dello stesso tema è più facile avere idee nuove interessanti semplicemente confrontandosi con queste. We always stand on the shoulders of giants.
Ecco allora che i pionieri spendono di più: perché hanno meno fonti a disposizione, comunità ristrette che li fanno crescere più lentamente. Devono decidere se i frutti del proprio impegno valgono più del benessere che hanno già a disposizione, in una ricerca continua dell’equilibrio tra tempo investito e tempo speso in divertimento.
I più scelgono di provarci evitando considerazioni razionali ed economiche: personalmente, l’ho fatto perché giusto, perché percepivo la responsabilità di dover fare qualcosa, probabilmente sovrastimandomi, sostanzialmente perché mi ritenevo in gamba.
Purtroppo, come dimostrano i numeri, pochissimi la prendono come me. Perché si sottostimano, perché quando hanno provato a fare qualcosa, la prima volta gli è riuscita male e quindi non hanno più provato. Il cambiamento subisce evidenti leggi di potenza: quando il network supera una certa soglia, diventa molto più facile trasformare in realtà i propri progetti, perché si conoscono finalmente le persone che ci possono aiutare. È più facile allora trovare delle comunità del cambiamento nelle grandi città, meno in provincia.
Ci sono delle soluzioni per uscire dall’impasse? Certo, eccone alcune alla nostra portata (evito di dire che dovremmo aumentare salari e produttività, spetta a un Governo):
1) aumentare il beneficio personale del cambiamento, attraverso l’aumento dell’impatto che ogni nuovo membro della comunità “rivoluzionaria” può aggiungere al momento del suo ingresso;
2) diminuire i costi di formazione e di reperimento delle fonti, per facilitare l’emergere di nuove voci;
3) uscire dal tunnel del divertimento: evitare di essere schiavi delle comodità; la strada giusta consiste nel cercare piacere dalle relazioni, non dai consumi;
4) avere fiducia nel prossimo: aumenta la rapidità con cui si cementano nuove comunità e si collabora;
5) aumentare il valore percepito del proprio volontariato: serve un’epica del cambiamento;
6) educarsi al piacere: per estrarre il meglio dal poco tempo a disposizione.
RENA con la nuova strategia sta agendo visibilmente sui punti 1 e 5: diventare un catalizzatore di pionieri consente a chi entra nella rete di venire valorizzato da associazioni già rodate, di imparare più rapidamente perché a contatto con persone competenti. Mi piacerebbe agisse anche sul punto due, e cercherò di dare il mio contributo. Il punto 3 è insito nella qualità umana degli arenauti, il punto 4 è più delicato, perché dipende dal successo di tutta l’Associazione. Il punto 5 richiede un cambiamento culturale che ho solo tratteggiato in un altro articolo:
http://doppiozero.com/materiali/chefare/la-cultura-come-risposta-alla-crisi
In effetti la percezione che gli edonisti hanno di sé è talvolta eccessivamente positiva: molte delle ore investite in divertimento danno ritorni medi, perché spese in attività banali, seguite più per conformismo che per reale passione. Se è vero che il piacere non richiede formazione (e non ha quindi barriere all’ingresso), è anche vero che incontra facilmente fenomeni di saturazione/tolleranza.
Consigli per chi vuole entrare nella comunità del cambiamento? Certo! Il modello deve servire anche per prevedere gli effetti collaterali da troppo impegno. Non conviene concentrare tutto il tempo su di esso: il guadagno marginale per ora diminuisce chiaramente, perché aumenta il costo (diminuendo il tempo libero). In secondo luogo, si rischia di perdere il contatto con ciò che ci fa vivere bene (amore, amici, famiglia): così le motivazioni generali (e il tono d’umore) tendono a calare, svalutando il valore percepito del proprio tempo. A mio avviso sono possibili due effetti: le ore investite nel cambiamento diventano meno efficienti, oppure il proprio attivismo diventa troppo legato ai risultati, e quindi sottoposto a cicliche fasi di euforia e frustrazione.
Previsioni per il futuro? Nonostante lo schema qui descritto spieghi l’attuale apatia, se corretto spiega anche quando le persone torneranno a impegnarsi. La qualità del tempo investito in divertimento calerà a causa di due fenomeni: la diminuzione della ricchezza disponibile, che sottrarrà risorse da investire nel piacere, e l’aumento della consapevolezza della crisi – collegato all’impoverimento. Divertirsi quando i tuoi amici e i tuoi cari si ritrovano disoccupati diventa difficile: perché hai meno compagni che possono permettersi il tuo stile di vita e perché, in fondo, la maggioranza di noi sa empatizzare e condividere i propri sentimenti.