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La seconda giornata di Summer School si apre con l’intervento di Vittorio Cogliati Dezza, già Presidente di Legambiente e membro del Coordinamento del Forum Disuguaglianze Diversità.

La crisi ecologica: la transizione a partire dai più vulnerabili – Vittorio Cogliati Dezza

“Abbiamo vissuto un allontanamento culturale, la presunzione di poter fare a meno delle regole dell’ecologia. Pensavamo che la tecnologia e l’artificiosità potessero sostituire la natura, uno sviluppo infinito, che le malattie sarebbero state sempre curate, “le magnifiche sorti e progressive”, il vizio costitutivo con cui si pensa che qualunque sfida possa essere comunque vinta”.

Il virus ha fatto saltare sistemi sociali e economici, però ora di nuovo è necessario affidarci nuovamente una soluzione tecnologica – il vaccino.

Dal 2001 al 2010 nei paesi più poveri il PIL pro capite si è ridotto tra il 17% e 31%, per effetto del riscaldamento globale. Dividendo tutti i paesi in 10 gruppi il divario economico è del 25% in più di quanto ci sarebbe stato senza riscaldamento globale. L’ONU ha dichiarato che la crisi ambientale porterà a 120 milioni di indigenti in più entro il 2030 nei paesi più poveri. 

“Il problema esiste al nostro interno, i ceti deboli pagano il prezzo più alto.”

I gilet gialli avevano uno slogan che riguardava la carbon tax.il governo parla della fine del mondo, noi siamo preoccupati della fine del mese”. Non erano contro la carbon tax ma contro un pagamento identico per tutti dello stesso prezzo. 

Il tema fondamentale da capire è che non basta individuare soluzioni, idee giuste, ma bisogna capire come queste avranno effetti sulla società, sui diversi ceti sociali.

Nei territori più difficili (si citano il quartiere Tamburi, la terra dei fuochi, Porto Marghera) i ceti deboli sono anche impossibilitati a intervenire sulla prevenzione, per questioni anche culturali.

Avere la libertà mentale di pensare alla propria salute quando bisogna pensare al bilancio famigliare è difficile. Quindi per questi motivi i ceti più poveri pagano un prezzo più alto anche nei paesi più sviluppati.

Questa è la conferma di una grande disattenzione nei confronti delle politiche ambientali per incentivare l’accesso alle risorse. Le politiche dal 2008/2009 prevedevano la detrazione fiscale, che è un meccanismo che impedisce la possibilità di accedervi da parte di tutti, perché ci sono famiglie incapienti; non necessariamente povere, ma comunque vulnerabili, che non possono scaricare tali detrazioni e recuperare dalle tasse quello che hanno investito. Quindi, in sostanza, chi ha avuto accesso alle politiche energetiche è stato il ceto benestante.

L’accesso alla ricchezza comune può influire sulle fragilità di ricchezza privata: la ricchezza comune è rappresentata da tutti gli elementi della vita comune (istruzione, sanità, trasporto, verde…) e tiene insieme tutto ciò che ha a che fare con la vita collettiva di un territorio, può essere un indicatore di qualità di un territorio.  Si pensa per questo a una distribuzione equa di tutte le risorse senza distinzione tra centro e periferia.

Le politiche per la giustizia ambientale e sociale devono garantire la libertà sostanziale delle attuali generazioni, non solo di quelle future: la transizione ecologica deve portare benefici alle persone che sono più in difficoltà oggi.

La pandemia è caratterizzata da due aspetti:

In primis, nasce per effetto della crisi ecologica, ovvero il distanziamento culturale e psicologico tra umani e natura, cui corrisponde un avvicinamento, insorgenza, per eccesso di vicinanza. 

In secondo luogo, la pandemia si è inserita in un sistema globale di avvicinamento delle persone. Ha ridotto le distanze fra persone ma ha aumentato le distanze dentro la società, quindi aumentando le disuguaglianze.  Le fasce popolari sono state più esposte al rischio. 

Inoltre dalla metà del 2020 la ricchezza delle 2089 persone più ricche al mondo è aumentata in 7 mesi di un quarto, cioè è aumentata la concentrazione della ricchezza. Sono aumentate quindi le disuguaglianze e esplicitazione della crisi sociale. Ecco perché è stato rivalutato lo Stato, le politiche pubbliche, la prossimità e l’attenzione alle condizioni di precarietà in cui vivono le persone.

La pandemia ha messo anche in rilievo tre questioni:

– La cultura dominante del profitto
– Il massimo patrimonio di conoscenze (privatizzazione delle conoscenze)
– L’impreparazione.

Anthony Fauci nel 2005 al Congresso americano ha affermato:

“se si parla con qualcuno nei Caraibi ti diranno che ci saranno piogge, ma la scienza non può dire quanto saranno forti e quando colpiranno. Non possiamo sapere quando, ma arriverà una pandemia polmonare, è inevitabile che ciò accada e quindi dovremmo prepararci”.

Perché allora il mondo si è trovato impreparato? Si tratta della stessa impreparazione con cui stiamo affrontando la crisi climatica, come se non toccasse le condizioni di vita reali delle persone.

“Abbiamo il dovere di prevedere, avere una metodologia di analisi per definire e individuare gli scenari possibili e stabilire quindi quelle che possono essere le politiche da portare avanti.”

Un altro punto interessante è che il Forum Disuguaglianze e Diversità (si veda anche l’intervento di Fabrizio Barca) ha individuato tre scenari possibili di uscita dalla pandemia. 

Quale è la risposta politica possibile che si sta disegnando. Sono generazionali, di genere, quali politiche possono rispondere?
1. Normalità e progresso (concetto presentato da Colao nel 2020) per intendere la produzione di valore e l’organizzazione del territorio, che rimane lo stesso (infatti si riparla del ponte sullo stretto di Messina).
2. Sicurezza e identità – sovranismo.
3. Futuro più giusto, basato sulle connessioni tra giustizia ambientale e sociale.

L’intervento si chiude con un focus sul Piano NEXT GENERATION EU, che è per il 37% vincolato alla lotta climatica, ma è di difficile realizzazione.
Nessuna risorsa del PNRR deve essere speso se produce danni ambientali significativi, questo è un principio fondamentale, ma l’Italia non sembra rispettarlo (si vedano ad esempio le scelte sull’idrogeno, settore su cui si sta molto investendo).

Transizione ecologica significa cambiare mentalità.”

Harari dice che in un mondo allucinato da informazioni irrilevanti la lucidità è potere. Lucidità vuol dire avere lungimiranza.

“La giusta transizione ecologica dovrebbe essere il punto al quale puntare perché tiene insieme la questione ambientale e quella sociale.”

 

La crisi ecologica: la transizione a partire dai più vulnerabili – Consuelo Nava, Architetto e ricercatrice presso l’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Dipartimento architettura e territorio

“Cercare scenari più che soluzioni”.

L’intervento di Consuelo Nava parte dall’idea di costruire comunità resilienti coinvolge i cittadini ma non solo, è un’esperienza esplorativa.

“Limiti e bordi possono essere aree strategiche di transizione. La terra è un’architettura.”

Il tema di tutto ciò che è possibile interpretare attraverso le nuove tecnologie parte da un’istanza in tutte le discipline di risarcire le risorse, di riattivarle, e le tecnologie sono come nuovi linguaggi che abilitano processi capaci di interpretare le possibili.

Tutti gli scenari di transizione legati al suolo sono quelli dove abiterà e sta già abitando, sono luoghi di transizione, dove il medio tempo coincide con il lungo tempo e tale è il ruolo che si sono dati i progettisti che si occupano della città e che cercano rapporto tra globale e locale.

La circolarità delle risorse e il design entrano in contatto con chi vive nell’ambiente costruito che partecipano al laboratorio.

Si ragiona sull’idea dell architettura non estrattiva, quasi come problema politico: architettura e produzione di filiere che che non producono esternalità negative per l’ambiente.

“Si deve ristabilire un rapporto tra natura e manufatti.”

“L’ecologia senza natura” è la rinegoziazione del rapporto tra natura e umanità.

“L’uomo per primo è un essere ecologico.”

Consuelo Nava sta attualmente lavorando sul concetto di strong sustainability. La sfida dei cambiamenti climatici diventa molto fisica, i temi dell’adattamento sono temi che guidano in maniera forte le azioni del soggetto.

Il tema dell’adattamento mette insieme scenari che si mescolano all’interno di nuovi paradigmi. Nava indica tre dimensioni degli scenari:

  1. Il tema dell’adattamento mette insieme degli scenari che si manifestano all’interno di nuovi paradigmi. avere sistemi resilienti e interlocuzioni con le reti.
  2. E’ necessario lavorare sulla città organica, poiché non c’è ecologia senza natura.
  3. La “Biomimetica”: le città funzionano come funziona la natura, in maniera prestazionale.
Decolonializzare l’ambientalismo: o di come superare Cartesio per evitare l’estinzione – Ilaria Nicoletta Brambilla, Ricercatrice 4REVs per Nelis Global

Le promesse fatte da Ilaria Brambilla, prima di iniziare il suo intervento sono le seguenti:

“Mi appello alla “sbaglieranza”: la presa di posizione di una compagna (in ambito femminista) a voler agire pur non essendo sicura che vada bene;”

“Parlerò “per conto di” popolazioni di cui non sono direttamente rappresentante istituzionale (Africa, America latina, Asia).”

Ilaria Brambilla parte dalla mappa di Fra Mauro del 1450 e dal successivo cambiamento culturale con l’invenzione della prospettiva, per mettere l’accento su quanto ci sia stato un periodo in cui la visualizzazione dello spazio (geografia) fosse molto diversa e molto più basata sulla percezione e sulle “dimensioni” umane. Ovvero distante a come la percepiamo noi oggi, ma non per questo meno corretta.

Stesso paragone può essere posto nella percezione della Natura in cui il cambiamento culturale determinante viene fatto risalire a Cartesio e Bacone, i quali fanno una cesura netta tra ciò che è animato e ciò che non lo è, incasellando il mondo in un dualismo molto solido, da un lato, e l’interpretare la natura come una macchina che può essere descritta con leggi matematiche, scomposta ed analizzata in ogni sua singola e più piccola parte.

Questo cambiamento culturale è la premessa per una carrellata sulla storia dell’ambientalismo e come si è sviluppato nei secoli fino ad oggi:

  • 1713 nascita dello sviluppo sostenibile con la pubblicazione del libro scritto da Hans Carl von Carlowitz, che si rende conto di come l’eccessiva richiesta di legna per lo sviluppo dell’economia avrebbe rischiato di tagliare gli alberi più velocemente di quanto impiegano a ricrescere;
  • pensiero che si è sviluppato successivamente, ma ugualmente collegato è il tema della sovrappopolazione, ovvero se il mondo (finito) avrebbe retto ad un aumento (in-finito) della popolazione.
  • Liebig+Darwin: hanno aggiunto le riflessioni sullo sfruttamento eccessivo dei terreni agricoli e, con gli studi sull’evoluzione della specie, gettato le basi per i concetti di ecologia ed ecosistema;
  • vengono creati i primi parchi naturali negli USA, tali parchi rispecchiano però l’idea “romantica” di natura da salvaguardare, ovvero di una natura diversa dall’uomo.
  • Provocazione: all’interno dell’ideologia nazista c’è una sintesi tra ambientalismo e nazionalismo, una idealizzazione della natura, e dei lavori ad essa collegati, puri e idilliaci. Stessa cosa si trova anche all’interno del Fascismo anche se i temi ambientalisti sono usati in modo utilitaristico per la difesa della patria o per la propaganda di regime. Si fa l’esempio della pubblicazione di un pamphlet del 1941 dal titolo “non sprecare” che contiene una serie di suggerimenti di vita domestica per evitare lo spreco di risorse al fine di limitare i problemi che l’Italia stava affrontando a seguito delle conseguenze della guerra.
  • Segue l’età dell’oro del capitalismo, ovvero del boom economico: la società dell’abbondanza ha portato allo spreco delle risorse, ma anche all’esplosione delle tecnologie: nasce la chimica, si sviluppa il nucleare, etc.
  • 1962: Rachel Carson pubblica “Silent Spring”, libro in cui racconta come si rende conto che l’uso del DDT ha causato la scomparsa di alcuni uccelli migratori.
  • 1973: la crisi petrolifera causata dalle guerre in medio oriente irrompe sulla scena e da spinta allo sviluppo di una coscienza collettiva sulla “finitezza” delle risorse sulla terra
  • Nascono le grandi organizzazioni mondiali sull’ambiente WWF e Greenpeace, anche in Italia nasce Legambiente: l’ambientalismo diventa quindi “mainstream”.
  • Per quanto non così diffusi si citano anche due interpretazioni che ritornano in auge tra le correnti ambientaliste nel periodo contemporaneo ovvero:
    – la ripresa da parte di gruppi neofascisti dei temi ambientali

           – la diffusione dell’eco-autoritarismo, ovvero l’idea che la protezione dell’ambiente possa essere fatta solo con un metodo autoritario

Alla luce di tutto questo si da quindi una definizione della necessità di decolonizzare l’ambientalismo: la nostra cultura, la visione che abbiamo della natura e quindi le chiavi di lettura che diamo all’ambientalismo, sono esito di questo percorso storico e rimangono ancora oggi impregnata di idee (post) coloniali. Il processo decoloniale consiste pertanto nel rendersi conto che noi pensiamo in questo modo in conseguenza al percorso storico dell’occidente.

Pensare in modo decoloniale vuol dire quindi cambiare il punto di vista, metterci in ascolto di altri pensieri ambientalisti che partono da presupposti differenti, vedere il mondo come un caleidoscopio.

Si conclude quindi con un elenco di ambientalisti che possono ispirarci grazie alla loro storia e arricchendoci di differenti chiavi di lettura: Vandana Shiva, Wagari Maathai, Winona Laduke, Berta Caceres, Kanule Beeson Saro-Wiwa, Chandi Prasad Bhatt, Chico Mendes (quote “L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”), Leah Thomas.

Il libro di Ilaria Nicoletta Brambilla e Emanuele Bompan, Che cos’è l’economia circolare (2016)

L’impatto sulla salute mentale del covid19: siamo tutti vulnerabili – Roberto Mezzina, Già Direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste e Vicedirettore della WFMH

“Il tema della vulnerabilità è un tema politico, non biologico.”

L’impatto della pandemia sulla salute mentale è stato su scala globale. Aspetti come l’isolamento, lo stigma (vax, no vax), il lutto, le perdite economiche e sociali, l’assenza di strutture di supporto, sono stati fattori di difficoltà per tutti ma soprattutto per persone già a rischio. Il carico delle patologie neuropsichiatriche comuni  sono prevalentemente a carico delle persone che lavorano. Il problema è l’assenza di cure e solo una persona su quattro ha la possibilità di curarsi, e sono coinvolte soprattutto persone giovani. C’è anche una carena di prevenzione e di rafforzamento della capacità di resilienza. 

La pandemia ha infragilito il sistema di supporto e ha fatto scoprire che tutti siamo esposti alla vulnerabilità, sia individuale che sociale. 

Un mese fa c’è stata una conferenza sulla salute mentale, dopo 20 anni dall’ultima in occasione della riforma Basaglia. 

Fino al 1978, dopo 28 giorni dal TSO o era possibile tornare alla propria vita, oppure una persona doveva essere ricoverata in ospedale psichiatrico, completamente interdetta. 

Le donne con comportamenti considerati devianti e le persone meno abbienti venivano punite attraverso “il manicomio”. 

Oggi però non è sufficiente l’avere chiuso i manicomi, nel 2018 sono stati chiusi anche gli ospedali criminali psichiatrici rimasti. Ad oggi sono attivi solo i REMS. 

Per quanto riguarda i programmi che riguardano la salute mentale, nell’arco temporale 2013-2020 è importante citare 6 principi fondamentali:

  • Universalità della copertura 
  • Riconoscimento dei diritti umani, senza i quali non esiste salute mentale 
  • Utilizzare migliori evidenze 
  • Life-course approach
  • Approccio multi settoriale, per esempio incentrandosi sulla relazione tra povertà e disturbi psichiatrici, il sistema di welfare, l’inserimento nella società, etc. 
  • Empowerment delle persone con disturbi psichiatrici, che possono, attraverso la loro esperienza diretta prendere parola, sensibilizzare gli altri ed educare sulla loro condizione. Questo protagonismo è una leva importante per permettere loro di prendere la loro vita in mano, diventare soggetto attivo del proprio destino, riuscire ad interagire con la propria malattia, fare scelte consapevoli – “Recovery”. Worlds academy association utilizza gli utenti come testimonial, ad esempio.   

“Non puoi fare terapie senza centrare servizi e cure sulle persone.”

La psichiatria degli anni ‘50 aveva a disposizione molte più risorse e finanziamenti finanziata di quella di oggi “di comunità”.  A Trieste – ad esempio  -oggi spendono il 37% di quello che spendeva l’ospedale psichiatrico. Nella struttura riconvertita si rivolgono a molti più utenti di allora. 

Il 10 ottobre è la giornata per la salute mentale e avrà come tema le disuguaglianze. Cosa sono le popolazioni vulnerabili? Sono quelle che hanno sofferto di più. Migranti, homeless e persone con disturbi mentali, bambini e adolescenti. 

   

Economia politica e disagio psichico nel mondo dell’istruzione – Francesca Coin, Professoressa associata di sociologia all’Università di Lancaster

Francesca Coin, sociologa della Lancaster University, non ha mai visto il luogo dell’istruzione come un luogo necessariamente di agio e di benessere. Durante la pandemia si parlava soprattutto delle scuole come luogo di benessere, ma non sempre le ricerche dicono questo. Sempre più spesso articoli e ricerche parlano di problemi di salute mentale da parte degli studenti. Anche gli stessi accademici ne soffrono, un tema che Francesca Coin ha affrontato in diverse ricerche.

Le infrastrutture dell’educazione neoliberale si basano su quattro pilastri: competizione, eccellenza, standardizzazione, misurazione. McKinsey stessa da decenni formula analisi e proposte di policy che mettono al centro dell’istruzione il talento.

Sono aumentati i costi di iscrizione ai corsi di laurea, su cui la docente dice:

In Italia, una delle conseguenze di questi tagli (all’istruzione) è stato il graduale aumento delle tasse universitarie e l’introduzione del numero programmato in sempre più corsi di laurea. Se prendessimo queste due conseguenze come esempi delle trasformazioni in corso, vedremmo chiaramente che si tratta di trasformazioni profonde, con origini nella sfera economica e conseguenze sociali e psicologiche. Come scrive il rapporto Almalaurea “l’Italia si colloca, insieme a Belgio, Francia, Spagna e Irlanda tra i paesi europei in cui è molto elevata la quota di studenti che pagano le tasse universitarie e contemporaneamente è molto ridotta la quota di chi riceve una borsa di studio”.

In questi paesi, la riduzione del numero di borse di studio condiziona l’accesso agli studi terziari e penalizza i gruppi sociali più fragili: ragazze e ragazzi privi di mezzi o svantaggiati non hanno le stesse possibilità dei loro coetanei più ricchi. Esiste allora il rischio che il disinvestimento nell’università pubblica non selezioni i “migliori”, o gli “eccellenti”, ma semplicemente i più ricchi, aumentando le diseguaglianze sociali invece che ridurle.

 

La salute psicologica riguarda tutti – Ronke Oluwadare, Psicologa del lavoro e psicoterapeuta sistemica e socio-costruzionista

L’intervento di Ronke Oluwadare, psicologa del lavoro e psicoterapeuta sistemica e socio-costruzionista, ha invitato le persone partecipanti a riflettere sul tema della salute mentale, individuale e collettiva.

E’ stata una conversazione molto partecipata, riflettendo, per esempio sul fatto che molto spesso dopo lievi sintomi di malesseri fisici corriamo a farci curare (in farmacia, dal medico etc.) mentre raramente la stessa cosa avviene dopo un attacco di panico. Ci occupiamo della nostra salute mentale solo quando dopo un certo punto non funzioniamo più.

Più la nostra vita è costruita per ricordarci che non siamo soli, più probabilità ci sono che la nostra salute psicologica sia buona. A questo serve sentirsi parte di una comunità.

Disuguaglianze e Salute Mentale: mutualismo tra tecnica e politica – Martina Diano e Matteo Bessone per lo Sportello sostenibile di ascolto psicologico e psicoterapia “TiAscolto!”

Il dibattito internazionale sulla salute mentale è stato misurato in Daly per capire in che modo le malattie mentali pesano sulla società. Ciò che spinge ad occuparci di salute mentale è purtroppo l’impatto economico che essa ha sul settore sanitario e sulla produttività dei paesi. 

“I paesi ricchi non stanno tanto meglio di quelli meno avanzati economicamente. Dopo un certo punto in poi ci si accorge che la salute mentale peggiora.”

In generale, le classi sociali meno abbienti sono quelle per cui la salute fisica ma anche la possibilità di morire durante un incidente come il TItanic (perché alloggiano in terza classe) sono più alte. 

I fattori sanitari principali sono la ridotta possibilità di accedere ai servizi ma anche vivere in periferia invece che in centro. Studi dimostrano che dover aspettare il bus in città come Torino innesca meccanismi di stress alti. 

Lo stile di vita e lo stress incidono moltissimo sulla salute mentale

Nei feti, l’effetto dello stress delle madri sono fortissimi, ma è nei primi tre anni della persona che si generano disuguaglianze nello sviluppo, in termini di quante parole vengono imparate, di proibizioni, di stimoli e incoraggiamenti. I deficit linguistici si tramutano in un diverso livello di istruzione, e persone con minore livello di educazione hanno una maggiore possibilità di ammalarsi di depressione

La scuola è un contesto privilegiato per la prevenzione dei disturbi psicologici.

Bambini meno intelligenti ma più abbienti migliorano molto più di bambini più intelligenti e meno abbienti”. 

Lo sportello è dal 2013 un luogo di vita e di lavoro ma anche di attivismo per operatori, non ci sono tariffe fisse, le tariffe sono concordate con ogni cittadino e sono variabili. In questo modo, in un’ottica redistributiva, chi può pagare di più consente l’accesso alle persone più svantaggiate, che corrispondono una cifra minore. 

Ultima azione messa in campo è stata una campagna all’interno della città di Torino su Salute Mentale e Equità. Dopo aver somministrato un questionario è stato sottoposto il documento alle Istituzioni con l’obiettivo di mettere il tema al centro dell’agenda politica. Ulteriore obiettivo è quello di stimare quanto le politiche impattano sulla salute mentale delle persone. 

 

Oltre il welfare del 900: la cultura per riscrivere il benessere – Emmanuele Curti, Fondatore Lo Stato dei Luoghi

La cultura resta -come nella nella migliore tradizione ottocentesca- un’attività “dopolavoro”, intesa dunque come divertimento, passatempo, svago.

Emanuele Curti chiede di domandarsi: cos’è  la cultura? 

Una risposta è che la cultura può essere intesa come un grande cappello, che però spesso viene ridotto in dimensioni molto più strette.

E’ importante ragionare della relazione tra cultura e salute mentale, tenendo presenti le stratificazioni e il bagaglio di esperienza delle generazioni passate, dal dna.

La scuola di Trieste e in particolare Franco Basaglia ha lavorato in un periodo di grandi riforme e grande fermento in Italia, gli anni ‘70 e ‘80 del novecento sono stati una fucina che ha permesso un grande cambiamento.

A partire dagli anni ‘90 però c’è stata una battuta di arresto, forse dovuto alla globalizzazione post caduta del muro di Berlino, e dal tentativo di colonizzazione da parte del pensiero occidentale. Da quel momento gli umanisti, le scienze più vicine alla cultura non sono stati più in grado di avere visioni, non hanno continuato a sollecitare verso una dimensione futura.

“Le scienze umanistiche si sono sedute e hanno iniziato a descrivere il mondo invece che delinearlo con delle visioni.”

Oggi stiamo affrontando una fase cruciale su tanti aspetti: lavoro, salute, sociale, nonostante ciò, i programmi dei licei classici sono rimasti invariati per decenni, escludendo dal programma tutta la seconda metà del novecento, che ha trasformato il vivere degli adolescenti di oggi. Si pensi anche che prima il sapere era trasmesso attraverso manuali e biblioteche, che venivano condivise, mentre oggi l’accesso a internet ha mutato tutto. 

“Lo Stato non è in grado oggi di rispondere alle trasformazioni, soprattutto quelle del lavoro, perché non riesce a uscire dal ‘900.”

E’ dunque necessario affrontare il tema dell’educazione rispetto al lavoro. L’attuale pipeline per introdurre le persone al mondo del lavoro non funziona più, e di conseguenza nemmeno negli ambiti dell’educazione e della cultura.

“Secondo alcune teorie un giorno una fetta della popolazione non dovrà più lavorare, questo vuol dire che un’altra fetta della popolazione lavorava per loro.La domanda fondamentale è: noi italiani siamo una repubblica fondata sul lavoro, ma quindi La costituzione non risponde più all’oggi? Ci sono dei meccanismi che dobbiamo cambiare?”

Non riusciamo a superare questa crisi data da questa immobilità e incapacità di uscire dagli standard di pensiero del secolo scorso. 

Trattando il tema del welfare culturale, “c’è bisogno di una realtà in trasformazione, e della necessità di ripensare radicalmente la società, in questa tensione tra prossimità e distanza.”

Questo sta già avvenendo e forse non è ancora del tutto possibile rendersene conto. Il grande problema, fino a 30 anni fa, era la grande divisione, accelerata dalla suddivisione accademica, tra pensiero umanistico e pensiero scientifico. Oggi i pensieri più visionari si rifanno a modelli “biotici”.

(Si veda il pensiero di: Donna Haraway, Anna Tsing, Roberto Esposito, Emanuele Coccia)

“In questo momento di crisi del pensiero umanistico, caratterizzato dall’ossessivo studio del passato, il mondo delle scienze sta entrando per creare nuovi ecosistemi in cui lavorare.”

Riprendendo il concetto di molecolare (si veda l’intervento di Ezio Manzini), è  necessario ripensare il sistema di coesistenza tra persone, cercando di lavorare su una dimensione nuova.

Secondo Milo Rau, osservando l’approccio culturale che tende a costruire sempre sul passato (la cultura dei musei, l’ossessione del passato e della conservazione, dall’ottocento ad oggi), afferma che dal passato è possibile prendere un 20% per fare arte, il restante 80% deve essere inedito, nuovo, al fine di costruire il futuro. 

“Non abbiamo più riti collettivi, ma chi è il soggetto preposto alla creazione di nuovi riti? Quelli esistenti stanno già scomparendo”

Oggi sono saltate le categorie di spazio e tempo. La sfida attuale è di reinventarsi spazio, luoghi e un nuovo concetto di spazio pubblico, attraverso il nuovo concetto di cultura che non è quello tradizionale.

Con l’alfabeto pandemico (si veda l’intervento di Linda Di Pietro) è importante capire quali sono le parole per questi nuovi approcci. “Questo trovare parole nuove è il lavoro dell’artista oggi”.

Lavorando per capire se gli spazi (periferici, nelle aree interne) chiamate le linee di crescenza– le ferite profonde (di classe) che si stanno rimarginando negli spazi abbandonati dal sistema post industriale- ha preso forma un nuovo linguaggio in cui la parola più cara è cura.

Per uscire da questa logica descrittiva dei grandi pensatori del passato ora invece è tempo di proposizione e individuazione degli spazi. 

“La parola identità oggi è una parola statica, io preferisco attraversare”

Secondo Campagna, in merito al concetto di welfare culturale, vi è la necessità di avere dei profeti distaccati, artisti che stanno sul margine, nel luogo del conflitto. Il Welfare culturale si muove in mezzo a quel polarismo di società sana e malata.

“Cultura è l’elemento che ci tiene insieme. Rilke diceva impara a nominare le cose, e noi dobbiamo saper fare questo”.

Bibliografia

Federico Campagna

Il manifesto della Cura (the Care Manifesto)The Care Manifesto: The Politics of Interdependence

 

Presentazione del libro “Immaginazione civica, l’energia delle comunità dentro la politica” – Michele D’Alena, Responsabile Ufficio immaginazione civica, Fondazione per l’Innovazione Urbana

La seconda giornata di Summer School si conclude alla TAM – Tower Art Museum, museo d’arte contemporaneo che per riuscire ad aprire ha lanciato la campagna “volevo solo aprire un museo”. 

All’interno della Torre del Capone si è tenuta la presentazione del libro Immaginazione Civica – L’energia delle comunità dentro la politica con l’autore e socio di Rena Michele d’Alena, responsabile dell’Ufficio Immaginazione Civica della Fondazione per l’Innovazione Urbana.

La Fondazione per l’innovazione Urbana nasce a Bologna, fondata da Comune e Università, al fine di  dotarsi di una struttura che ha una missione chiara: fare innovazione urbana.

“Dietro questa cornice ci sono decine di laboratori, pratiche, storie belle che non fanno rima con politiche pubbliche la la fondazione è una cerniera tra quello che sta dentro la burocrazia e quello che è la realtà di cui siamo portatori.”

L’obiettivo della fondazione, condiviso con il Comune di Bologna è quello di coinvolgere chi normalmente non partecipa, o non vuole farsi coinvolgere perché non ha fiducia. Questo vincolo ha obbligato a mettere testa e impegno per inventare qualcosa di inedito. Oggi la Fondazione è “Un posto dove sentirsi comodo”.

Da dove parte l’urgenza di scrivere questo libro?

All’interno del libro c’è una parte di metodo, questo racconta quattro anni di fatiche e di risate, e doveva essere raccontato come una storia. In generale questa esperienza può essere sintetizzata come una “sfida contro la burocrazia”. 

“Vuole parlare di una politica che è figo farla. Non è facile. C’è un metodo. Ci sono eroi. C’è una nuova grammatica. Il verbo immaginare è presente nell’esperienza dei Laboratori di Quartiere”.

Gli elementi ricorrenti, che hanno permesso la realizzazione di questo processo, e che vogliono essere trasmessi attraverso questo libro sono:

1) Il forte lavoro interno di allineamento.

2) La capacità di creare delle alleanze, anche grazie il prezioso coinvolgimento e l’ascolto del mondo dell’associazionismo del territorio specifico in cui si lavora, prima di convocare le assemblee pubbliche: “riconoscere e creare leader di comunità”.

 3) L’apertura alla creatività dei cittadini e a volte improbabili e inaspettate che questi creano. “L’esercito di società civile che si candida alle elezioni.”

4) La progettazione dell’attesa, poiché è necessario essere consapevoli che i tempi per portare un percorso come questo alla sua piena realizzazione sono lunghi e richiedono diversi anni.

E’ stato possibile sperimentare questo metodo all’interno della città di Bologna, che rappresenta e spesso ha rappresentato nel corso degli ultimi 60 anni un laboratorio e un antesignano di servizi, policy, che poi sono stati virtuosamente applicati livello nazionale. 

Le parole chiave che sono individuabili per portare l’immaginazione sono:

Potere: quanto potete è disposto a cedere ai cittadini l’amministratore locale?

Luogo: ogni luogo ha le proprie dinamiche e sue grammatiche, è fondamentale riconoscere l’unicità del luogo e comprendere la necessità che per ogni luogo è necessario un approccio dedicato. 

Tempo: serve tempo perché bisogna ricostruire dei rapporti di fiducia tra cittadini e amministratori locali.

Emozioni: è fondamentale ricorrere alle emozioni per uscire dalle logiche gerarchiche e anche per organizzare il lavoro in modo diverso. Per questo motivo la scelta fatta nei Laboratori di Quartiere è quella di seguire il principio della prossimità, grazie alla nascita di figure professionali inedite: gli Agenti del quartiere. 

“C’è un dovere civico di lavorare sulla solitudine dentro la PA”

Questo articolo è un lavoro di intelligenza collettiva coordinato da Giulia Naldi, e scritto con Paola Brizi, David Rossi, Rosanna Prevete, Tommaso Goisis e Cecilia Manzo ed il supporto nella pubblicazione di Michela Mattei e Andrea Taverna.

La Rena Summer School “Abitare le Distanze” è stata resa possibile grazie al contributo di Intesa Sanpaolo, il patrocinio della città di Matera ed il supporto di Forum Disuguaglianze Diversità, Ambasciata Stati Uniti, Scuola di Mobilitazione Politica e Lo Stato dei Luoghi.

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