Immaginate una domenica pomeriggio qualsiasi. Una domenica senza neanche il campionato di serie A, con al massimo il ronzio del gran premio di formula uno in televisione.
E immaginatevi nell’unico posto dove si possa stare una domenica pomeriggio come questa: sul divano. Sdraiati sul divano.
Immaginate quel senso di annichilimento della volontà, quell’accidia invincibile, quell’incapacità di alzarsi anche se è proprio evidente che dovreste alzarvi. Anche se la finestra è aperta e piove dentro. Anche se la spazzatura è piena e le formiche stanno banchettando sul pavimento. Anche se il bucato è da fare, la lavatrice è rotta, la doccia è guasta. Anche se ci sarebbero un sacco di cose bellissime da fare piuttosto che rimanere immobili.
L’abbiamo provato tutti – vero? – questo senso di abbandono. È normale, è comune, ma è odioso.
Perché succede? Non lo sappiamo con certezza. Ma secondo alcuni studiosi il motivo per cui non ci alziamo dal divano e non ci mettiamo a fare quello che dovremmo fare sta nel fatto che non riusciamo a visualizzare con chiarezza il nostro “io futuro”.
Che significa? Significa che, mentre sono sdraiato sul divano, il mio problema è che riesco con chiarezza a visualizzare il mio “io presente”, il mio io pigro e assonnato, che non vede motivo per alzarsi.
Ma quello che non riesco a visualizzare è il mio “io futuro”, quello felice, pulito e soddisfatto per aver sistemato la spazzatura, fatto il bucato, lavato i piatti. Quello pronto ad uscire per una grande serata. Se fossi in grado di visualizzare questo “io futuro” con chiarezza, non starei un minuto di più sul divano.
Insomma, la pigrizia e l’ignavia ci opprimono proprio perché non siamo capaci di visualizzare nella nostra mente il vantaggio del cambiamento, e ne vediamo invece solo i costi: “se mi alzo mi stanco”, “i piatti da lavare sono troppi”, “in fondo non si sta tanto male tra le formiche…”.
Perché vi ho raccontato questa storia di ordinaria pigrizia? Perché quando si parla di immobilismo e di incapacità di visualizzare il futuro… si parla anche del nostro Paese.
Che l’Italia sia un Paese fermo, opaco, chiuso, lo sentiamo dire da tempo. E a ragione. Ma forse non ci siamo interrogati abbastanza sull’altro aspetto: e cioè sulla nebbia che abbiamo davanti agli occhi quando cerchiamo di visualizzare il nostro futuro insieme, come Paese.
Che lavoro faremo? E come lavoreremo insieme? Che scuola faranno i nostri figli? Chi pagherà il nostro welfare? Cosa produrranno le nostre aziende? Di che colore sarà la pelle dei nostri vicini di casa? Cosa ci unirà come cittadini?
È questo l’“io futuro” del Paese, che nessuno sembra saper visualizzare con chiarezza. E proprio perché non riusciamo a visualizzarlo, il cambiamento continua a sembrarci un’impresa impossibile. Una missione pericolosa.
Continuiamo a sovrastimare il costo del cambiamento. E preferiamo, così, rimanere sul nostro metaforico divano domenicale, fatto di decrescita triste e aziende che chiudono, di ignoranza ed assenza di opportunità, di opportunismo ed evasione fiscale, di baby pensionati e baby disoccupati.
Non sembra un divano tanto comodo, a descriverlo così. Eppure l’immobilismo del nostro Paese ha tantissimi fan. Milioni e milioni di fan da divano.
La maggioranza del Paese, direi, che per incapacità di sognare un futuro differente si accontenta di una piccola o grande rendita di posizione. E per qualche piccolo vantaggio a breve termine baratta la propria etica di cittadino. E il futuro dei suoi figli.
Sono gli stessi che si accontentano di non chiedere lo scontrino per risparmiare 3 euro, o di non cambiare la legge elettorale per non spaccare il partito. Insomma, siamo tutti azionisti di minoranza del declino dell’Italia, come RENA purtroppo dice da anni. E allora? Cosa c’entrano i Pionieri con tutto questo?
C’entrano, eccome se c’entrano. I Pionieri sono la risposta a tutto questo.
Perché RENA se l’è posta la domanda: “qual è l’Io Futuro del nostro Paese?”. E ha cercato un modo per visualizzarlo.
Avevamo due modi per farlo, per visualizzare un futuro possibile per il nostro Paese: copiarne uno dall’estero – “dobbiamo essere come la Danimarca, o come gli Stati Uniti, o come Cuba” – o cercarlo, questo futuro, nei nostri territori, nelle nostre città, tra gli italiani.
Abbiamo pensato a entrambe le soluzioni, ma poi ci siamo accorti che amiamo troppo l’Italia, e crediamo troppo nelle sue potenzialità per accontentarci di un sogno di seconda mano.
E allora abbiamo deciso di iniziare a cercare, con pazienza, le prove della mutazione. Le evidenze che il cambiamento, in Italia, sta già succedendo. Abbiamo cercato i pezzi di “io futuro” già in circolazione. E li abbiamo chiamati Pionieri.
A Firenze, solo qualche mese fa, abbiamo lanciato la nostra chiamata. Non sapevamo quanti avrebbero risposto. Ma sapevamo come sarebbero stati questi Pionieri: non singoli individui, perché da soli non si va da nessuna parte. Ma realtà giovani e innovative, aperte e responsabili, in grado di connettersi tra loro. Visionarie, ma capaci di avere un impatto reale nel proprio mondo, nei propri settori, nei loro territori.
Per farle emergere abbiamo girato l’Italia e non solo: siamo stati a Bari, a Napoli e a Torino. A Bologna e a Parigi. A Pisa, Firenze, Milano. A Roma e a Palermo. Abbiamo parlato a migliaia di persone, per spiegate cosa fossero per noi i Pionieri. Abbiamo alzato al massimo la posta della nostra scommessa.
E quella scommessa l’abbiamo vinta: 120 organizzazioni hanno risposto alla nostra chiamata: 120 aziende, associazioni, movimenti, pubbliche amministrazioni. Abbiamo scoperto che da Nord a Sud, dalle grandi città ai piccoli centri, l’Italia è piena di Pionieri. Basta guardare a loro con attenzione, per vedere in loro, in voi che siete qui stasera, il nostro “io futuro”. Il modo in cui lavoreremo, studieremo, cresceremo, staremo insieme come cittadini nel futuro. Basta credere che le storie dei Pionieri siano il primo capitolo della nostra storia collettiva.
È per questo che stasera abbiamo scelto proprio il mezzo della narrazione. Abbiamo scelto i 10 Pionieri che consideravamo più rappresentativi e abbiamo chiesto a dei professionisti ed amici di raccontarne la storia.
Perché siamo convinti che raccontando il cambiamento lo renderemo inevitabile. E che se queste storie circoleranno, voi Pionieri vi sentirete meno soli, e scoprirete al vostro fianco tanti nuovi Pionieri con cui camminare insieme. E aiuterete chi non ha speranza ad alzarsi dal divano. Siamo solo all’inizio: stasera in questa sala siamo 300. Dobbiamo diventare 3 milioni di Pionieri.
Ci vorrà tempo, fatica e passione. La stessa che ciascuno ha messo nelle proprie imprese, nelle proprio associazioni, nei propri movimenti. Ci vorrà tempo, ma ormai il cambiamento è iniziato. E ha i nostri occhi, la nostra bocca, le nostre mani. Spetta a noi coltivarlo, spetta a noi renderlo vivo, spetta a noi dargli movimento. A partire da oggi.
—
Intervento di Francesco Luccisano durante “La Notte dei Pionieri”, cerimonia di premiazione del concorso “A caccia di Pionieri”, venerdì 3 maggio 2013, La Triennale di Milano.