di Bill Emmott (ripreso da La Stampa)
Ho deciso di mettermi alla ricerca della Buona Italia e di vedere che cosa si poteva fare per rafforzarla. La mia fiducia nel successo dell’impresa è aumentata sempre di più, man mano che incontravo i giovani e parlavo con loro. Ho scoperto che hanno una mentalità aperta, un atteggiamento positivo, che sono impegnati a cambiare le cose in meglio. Un certo numero di queste persone e di questi modelli positivi compariranno nel presente, compresi Addiopizzo e Ammazzateci Tutti, due eccellenti organizzazioni antimafia fondate da giovani, rispettivamente a Palermo e a Reggio Calabria. Ci sono poi associazioni d’imprenditori, think tank, e diversi gruppi formati da giovani parlamentari. Ma sopra tutti quelli che ho incontrato, e che hanno ispirato la mia fiducia in controtendenza, si stagliano gli organizzatori e membri di Rena, la Rete per l’eccellenza nazionale, attivi a Roma, Torino, Bari, Padova… di fatto in tutto il Paese.
Si tratta di un’associazione assolutamente moderna, fatta di persone collegate tra loro in pratica attraverso Internet e i convegni, ma concettualmente da un obiettivo condiviso e da una serie di valori comuni.
Nata da poco, è composta da più di cento giovani professionisti. Per «giovani», intendo persone tra i venticinque e i quarantacinque anni, tipi brillanti e pieni di energia, capaci di far sentire il sottoscritto cinquantaquattrenne un po’ vecchio e posato. Lavorano nelle aziende, nelle università, nel governo, nei think tank o in proprio; la maggior parte in Italia, ma alcuni anche all’estero. Il loro obiettivo comune è semplice: rendere l’Italia migliore, diffondendo le cosiddette «best practice», le «migliori pratiche», in diversi campi. I valori che condividono sono la meritocrazia, l’opportunità e la democrazia. Ma quel che è più importante, dal mio punto di vista, è l’entusiasmo, ed è contagioso.
Il loro è un piccolo gruppo, con risorse limitate. Ma quando sono andato a Palermo alla Fiera di Addiopizzo, su uno striscione si leggeva: «L’uomo che sposta le montagne inizia dai sassolini». Con mia grande gioia i membri di Rena mi hanno adottato come uno dei loro «sassolini». Con rapidità e grinta hanno messo insieme una task force per aiutarmi a trovare esempi positivi, di persone, aziende, università, amministrazioni comunali e altre organizzazioni che poteva essermi utile incontrare. E poi, attraverso la loro rete di associati in tutta Italia, mi hanno aiutato a farlo. A volte mi hanno perfino scortato, guidando per centinaia di chilometri, nutrendomi con ottimo cibo, ottimo vino e ottime idee, e contagiandomi ancora di più con il loro entusiasmo.
Spesso si osserva che l’Italia è una creatura economica e politica in teoria incapace di volare, ma che, infrangendo ogni legge dell’aerodinamica, alla fine ci riesce. Un po’ come un bombo. Poi ci si arrovella a cercare di capire come fa. Penso che l’analogia non sia corretta. Riflette l’errata opinione che esista un modello standard per il successo dell’economia e della società, una formula che tutti devono seguire. Ma basta un breve sguardo al mondo per capire che in realtà non è così, o lo è molto poco: Francia e America, Giappone e Gran Bretagna, Italia e Cina sono Paesi molto diversi tra loro, eppure, nonostante le differenze, sono riusciti a raggiungere un elevato livello di progresso.
È proprio il Giappone il Paese che per primo mi ha orientato a pensare alle economie e alle società nei termini di lotta tra il bene e il male. Quando il Giappone era in pieno boom, negli Anni Ottanta, e attirava il tipo di attenzione adulatoria che oggi si riversa sulla Cina, si ipotizzava che, dato che per quel Paese tutto andava così bene, ogni cosa che faceva doveva essere per forza buona, anche se sfuggiva a qualsiasi spiegazione razionale. Si diceva che comportarsi in modo inspiegabile era parte dell’eterno mistero dell’Oriente, dell’imperscrutabile natura del Giappone. Poi, quando con gli Anni Novanta giunsero il crollo finanziario e la stagnazione, questo ragionamento cominciò a vacillare, trasformandosi nell’opinione ampiamente diffusa che in Giappone doveva essere diventato tutto cattivo, tutto negativo.
Eppure il Paese non si era trasformato dall’oggi al domani. In realtà era cambiato l’equilibrio nel rapporto tra buono e cattivo, tra positivo e negativo. Il potere degli interessi acquisiti, il peso della corruzione, il fardello della politica, l’importanza delle industrie protette e non competitive erano aumentati, facendo pendere l’ago della bilancia a sfavore delle forze positive che prima avevano avuto la meglio. Il compito era riportare l’ago della bilancia nella posizione precedente, non rivoltare il Paese da capo a piedi.
Lo stesso succede in Italia. Questo Paese è diventato uno dei più ricchi del mondo grazie al successo della Buona Italia sul peso morto, sul fardello della Mala Italia, specialmente negli Anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Il motivo per cui l’Italia vola e non si schianta tragicamente al suolo è che la sua parte buona le impedisce di farlo, reagendo a quella cattiva, ricacciandola indietro. Talvolta ci riesce appena in tempo.
Potrebbe farlo ancora. Se lo si volesse abbastanza.