Continuiamo a dare spazio alle testimonianze dei partecipanti alla Summer School con un articolo di Viviana Premazzi, estratto da un contributo più ampio pubblicato da Viviana nel libro Generazione Erasmus: l’Italia dalle nuove idee.
Il dibattito sulle seconde generazioni mette in crisi lo sguardo della società ricevente sui migranti e disarticola l’idea di una presupposta omogeneità della “nazione” nei suoi fondamenti culturali e identitari. I processi di globalizzazione e la presenza di stranieri-nazionali, di persone che sono nella comunità pur non essendo pienamente della comunità, infatti, mettono in discussione e trasformano le idee di nazionalità, di appartenenza, di partecipazione e di integrazione.
La società stessa è ormai in buona parte transnazionale e globalizzata e appare sempre più insostenibile la proposta di integrarsi o di assimilarsi in un modello culturale dato, chiuso nei confini di una nazione. Le seconde generazioni ricercano forme di riconoscimento identitario plurali, stratificate, fluide che consentano di rendere conto in modo più adeguato di un’esperienza quotidiana caratterizzata da complessità e capacità di adattarsi a contesti mutevoli e in costante trasformazione. Sperimentano quotidianamente pratiche di multiculturalismo, ossia un insieme di strategie e atteggiamenti che permettono a ognuno di costruire la propria individualità e differenza, rivendicata ormai su scala sopranazionale, linguistica, religiosa, in riferimento a gusti, estetiche, simboli e tradizioni che travalicano i confini di uno stato.
L’equazione cittadinanza=nazionalità=identificazione sembra rompersi e spostarsi verso la richiesta di riconoscimento di forme di cittadinanza plurale, transnazionale, cosmopolita. L’identificazione appare, infatti, una dimensione più complessa, fluida e articolata, che pur includendo la cittadinanza la trascende. I giovani, soprattutto quelli nati in Italia, infatti, pur riconoscendosi per certi aspetti sostanziali (soprattutto lo stile di vita e le abitudini, la libertà e le opportunità a disposizione) come italiani non sono facilmente disposti a negare o occultare altre forme di riconoscimento (soprattutto per ciò che concerne i valori, le tradizioni e i legami famigliari).
I giovani di seconda generazione non riproducono in maniera semplicistica lo stile di vita dei genitori, risultato dell’azione della cultura, delle tradizioni o delle radici che si sono ereditate, ma neanche si adeguano, senza residui e resistenze, ai modelli dei gruppi dominanti della società di accoglienza. Al contrario, ricercano, negoziano e definiscono quotidianamente spazi di riconoscimento, modelli di comunicazione e forme di identificazione che sono dissociate dalla cittadinanza etnica e culturale, senza però assumere acriticamente il modello di cittadinanza dominante nel Paese di migrazione dei loro genitori.
Il loro sentirsi italiani, infatti, non esaurisce le possibili identificazioni e le molteplici lealtà che sono continuamente contestualizzate in base ai pubblici, agli obiettivi e alle occasioni, e che tengono conto non solo dell’identificazione nazionale, ma includono le lealtà con una presunta e continuamente rielaborata e interiorizzata appartenenza etnica e culturale.
Le seconde generazioni appaiono come possibili luoghi di formazione di nuovi codici, forme di azione e di identificazione che anticipano tendenze più generali verso l’elaborazione di nuove idee di cittadinanza, meno legate alla dimensione nazionale, ma non per questo meno efficaci nel definire diritti e doveri, linee di inclusione e di esclusione. Definire che cosa significhi cittadinanza oggi non è concepibile senza considerare le nuove forme di italianità che ridefiniscono i criteri di appartenenza e le regole di partecipazione alla comunità e che si manifestano soprattutto nei contesti quotidiani di interazione e nelle forme differenziate, sfumate e mutevoli di identificazione e di fedeltà.
[…] La partecipazione garantita dalla cittadinanza consiste nel “diritto ad avere diritti”, come sosteneva Hannah Arendt, ad avere una voce in merito, una possibilità rilevante per far valere la propria opinione, uno strumento che favorisca l’empowerment personale e la capacità di partecipare alla pari alla vita collettiva senza subire discrezionali discriminazioni. Poter esprimere, da cittadini, la propria opinione significa avere la possibilità di farsi conoscere, di difendersi da accuse improprie o da rappresentazioni stereotipate e negative e di costruire, alla pari, nell’interazione con gli italiani e non attraverso l’integrazione in una presunta, omogenea, società italiana, una nuova comunità politica, sociale e culturale.
E’ importante riconoscere però che la discussione sulla cittadinanza non costituisce solo uno spazio di riflessione e di azione per i giovani figli di immigrati ma anche per gli “italiani autoctoni” e che saranno italiani e “nuovi italiani”, insieme, a definire il futuro della comunità politica e culturale, attraverso un pubblico confronto sull’idea di spazio pubblico, società equa, appartenenza e solidarietà.
di Viviana Premazzi
viviana.premazzi@hotmail.it