La nuova alba della Summer School si apre con i quesiti sulla nuova alba dell’umanità, alla luce dei grandi cambiamenti che la pandemia globale ha imposto alle persone, ai governi e all’Unione Europea. Il focus della mattina è stato su giustizia sociale, meccanica delle istituzioni, nuove sfide globali, nuovo capitalismo di stato. Temi che sono stati affrontati con lo spirito della necessità e dell’urgenza con cui bisogna prendere decisioni non più rimandabili.
“Non possiamo continuare a tollerare che chi ha tanta ricchezza, e quindi potere, non ne ceda almeno un pò” (Patrizia Luongo – FDD)
Per un futuro più giusto – Patrizia Luongo, Forum Disuguaglianze Diversità
L’intervento che apre la giornata introduce il lavoro condotto negli ultimi due anni dal Forum, che si è concentrato nell’analizzare e formulare proposte di policy principalmente sul tema delle disuguaglianze di ricchezza. Rispetto a questo ambito sono stati delineati 3 possibili scenari che ci aspettano, tra pessimistici e desiderabili:
- Normalità e progresso: c’è il rischio che, sfruttando il desiderio di ritornare alla normalità, si immagini una normalità modernizzata e digitalizzata, in grado di produrre solamente politiche “a tampone” che non riescano ad agire in modo strutturale sulla rimozione delle cause delle disuguaglianze.
- Sicurezza e autorità: c’è il rischio che la necessità di governo della crisi attuale porti all’affermazione di uno Stato molto forte, che si chiude a tutto ciò che è diverso
- Un futuro più giusto: è la strada auspicata, in cui si affrontano le disuguaglianze ma andando a rimuoverne le cause.
Da questi presupposti si muovono le 15 proposte del forum e delle proposte per renderle concrete.
Nello specifico, dalla consapevolezza della grave crisi generazionale che ha visto l’evanescenza della “protezione collettiva” di ragazze e ragazzi a favore di forme diverse di “protezione individuale” (familiare, di micro-comunità), dove assumono peso determinante ricchezza, status e relazioni della famiglia, è nata la proposta sull’eredità universale per i giovani di 18 anni. Una proposta radicale, non scevra di scetticismi (anche tra la platea degli studenti) che mira a scardinare il concetto di ricchezza familiare garantendo un’eredità universale di 15.000 euro a tutti i giovani al compimento dei 18 anni, senza alcun vincolo di spesa, con un percorso di educazione alla scelta con un percorso di formazione da iniziare a 14 anni.
La misura sarebbe finanziabile per il 60% attraverso una imposta sui vantaggi ricevuti: a gravare su donazioni ed eredità ricevute a partire dai 500.000 in su.
Ma questa non è l’unica proposta per i giovani.
- La PA nei prossimi 3 anni dovrà rinnovare il 15% della forza lavoro, si parla di 500.000 nuove assunzioni, questa è l’occasione per inserire nuove competenze e formare i giovani a cogliere questa opportunità.
- Il salario minimo legale per tutti, per ovviare alla deteriorazione delle condizioni di lavoro; che si porta dietro il tema dell’applicazione erga omnes dei contratti collettivi di lavoro e un sistema più efficace di ispezioni.
Next Generation EU: capire il recovery fund – Alessandro Fusacchia, Deputato della Repubblica e ex Presidente RENA
“La meccanica umana decide il destino delle nazioni”
Con la sua nota ars retorica, Alessandro, primo Presidente e fondatore di RENA, ci accompagna in un viaggio dietro le quinte delle istituzioni europee e italiane. Dalle svariate esperienze professionali condotte a Bruxelles e al Governo italiano, fino all’attuale carica elettiva, il suo intervento mira a svelare i meccanismi, noti e meno noti, delle pratiche di negoziazione delle politiche nelle istituzioni. Sottolineando l’eccezionalità storica del momento che stiamo vivendo, evidenzia anche l’urgente necessità di un cambiamento culturale e sistemico all’interno del sistema istituzionale.
Così piano piano si dipana un racconto che svela come, all’interno dei processi istituzionali, siano anche i momenti informali e le meccaniche umane a determinare l’esito delle decisioni (e non i processi e i rituali in sè). Così è stato per il Trattato di Maastricht e così è stato al Consiglio Europeo al momento di definire le misure e le divisioni del Recovery Fund: le meccaniche umane, le relazioni, le competenze, le figure professionali, i momenti informali siano stati fondamentali nella chiusura del negoziato e del successo dell’impresa italiana che si aggiudica il 28% dei fondi stanziati.
La crisi ha imposto accelerazioni e rotture nei meccanismi istituzionali anche a livello nazionale, così oggi la vera riforma costituzionale del Paese non è il taglio dei parlamentari, ma l’assottigliamento delle funzioni delle Camere, spesso ridotte a mero luogo di ratifica di decisioni e prigioniere dello strumento della fiducia.
Il sistema democratico, per come lo conosciamo, è a rischio, non tanto di una deriva autoritaria, quanto di un collasso. L’ingente quantità di risorse che arriverà al nostro Paese impatterà in modo gravoso sulla capacità amministrativa dello Stato e degli altri livelli amministrativi, un fronte su cui è urgente attrezzarsi in termini di numeri e competenze.
Oggi le sfide riguardano l’imminente turnover nella PA e come costruire forme di partecipazione diversa: le consultazioni si facevano già 15 anni fa, oggi serve una nuova capacità di mobilitazione, diversa, tecnica, organizzata, affinchè le persone possano fare incursione nelle istituzioni per cambiarle. La creatività si può esercitare anche nelle istituzioni.
QUI le slide di Alessandro Fusacchia.
Impresa pubblica e sviluppo economico: lezioni dal passato e dal presente per un futuro post-covid – Simone Gasperin, UCL
“L’impresa (sia pubblica che privata): come renderla moralmente arma di progresso?!” (Simone Gasperin, UCL)
Questa è la frase con cui si conclude l’intervento di SIMONE GASPERIN (ricercatore UCL – Institute for innovation and public purpose e Presidenza del Consiglio), ed è una sintesi eccellente del suo contributo. La citazione è una rivisitazione della frase di Giuseppe Ungaretti del 1953, pubblicata sulla rivista Civiltà delle Macchine.
Attraverso una carrellata internazionale sulle forme di “impresa di stato” nella storia, Simone ci fa capire che le idee che abbiamo sul capitalismo moderno sono assolutamente da tarare.
Quando si parla di impresa pubblica esistono vari modelli, che vanno dai monopoli fiscali di stato (inaugurati in Cina nei secoli A.C.), agli enti pubblici economici, alle imprese partecipate. Da qui il suo excursus approfondisce ad imbuto l’esperienza italiana e il caso IRI, la più grande impresa di stato, una delle 10 imprese più grandi del mondo per redditività, protagonista dopo il ‘48 della ricostruzione e dell’attuazione delle politiche industriali del dopoguerra che hanno portato al miracolo economico italiano, prima privatizzata e poi chiusa.
Il passaggio successivo elenca i moderni sistemi di impresa pubblica, dalle società holding pubbliche al MEF e raccoglie una sfida lanciata dall’Economist nel 2012.
“ The rise of state capitalism constitutes one of the biggest changes in the world economy in recent years”. (The Economist, The Visible Hand, 2012, p. 13)
Attualizzandola al contesto odierno italiano, questa sfida sottolinea il grande potenziale inespresso per le imprese pubbliche dello stivale, che sono ancora il pilastro del capitalismo italiano con l’ 8,4% del totale dei ricavi delle imprese; 8 miliardi di euro in dividendi (di cui 2,7 circa all’azionista pubblico); 17,3 miliardi di investimenti fissi (17,5% del totale delle imprese); 2,6 miliardi di spesa in R&S (16,9% del totale delle imprese); 500.000 addetti (di cui più di 350.000 in Italia) e rappresentano il 29,1% della capitalizzazione di mercato.
All’analisi dei punti di forza si accompagna ovviamente quella dei punti di debolezza ed emerge una proposta, condivisa anche dal Forum Disuguaglianze Diversità, che miri a creare un “ponte tecnico” (consiglio degli esperti) che favorisca il dialogo tra Stato azionista e imprese pubbliche per formulare di indirizzi strategici per le politiche industriali e far sì che le imprese pubbliche diventino strumento per la realizzazione di politiche e lo Stato diventi il soggetto chiamato in causa non solo per coprire i buchi ma per investire nella nascita di nuove economie e mercati.
Il pomeriggio della terza giornata è aperto da un tandem di grande valore: Maria Grazia Cogliati Dezza e Patrizio Bianchi.
RIPENSARE I BENI PUBBLICI: SCUOLA E WELFARE DI PROSSIMITÀ
Mariagrazia Cogliati Dezza, Progetto Microaeree – Trieste
Cogliati Dezza è psichiatra e ha partecipato, insieme a Franco Basaglia, al lavoro di superamento dell’ospedale psichiatrico di Trieste e all’apertura dei primi centri di salute mentale. Dopo essersi occupata del servizio per le dipendenze, per oltre un decennio ha diretto un distretto sanitario dell’azienda triestina, dove ha assunto successivamente il ruolo di coordinatrice sociosanitaria, contribuendo a promuovere e organizzare il progetto “Microaree”.
È proprio questo progetto a fare da fulcro del suo intervento, che si apre con una lucida constatazione: la pandemia ha messo in luce la principale criticità dei nostri servizi di salute, ovvero la dimensione territoriale. Su questo aspetto il nostro Paese, seppur con rilevanti differenze regionali, soffre da tempo di una debolezza strutturale che il Covid ha drammaticamente acuito, con effetti drammatici sulla capacità di affrontare l’emergenza sanitaria.
Cogliati Dezza ci ricorda che la principale differenza tra la medicina ospedaliera e quella territoriale è che nella prima l’elemento centrale è la malattia, nella seconda è il malato.
La medicina del territorio è, quindi, medicina del reale: la cura si basa su quel particolare individuo, sul suo contesto familiare, sociale e culturale, sulla sua specifica comunità.
Anche secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’attenzione al territorio è fondamentale: sono le condizioni sociali, infatti, la principale determinante delle disuguaglianze nell’ambito della salute. Intervenire sulle “determinanti sociali della salute” è quindi determinante per costruire una società più equa.
Inoltre, il sistema medico attuale non può più prescindere da un’alleanza organizzata con la comunità per affrontare il tema sempre più centrale delle malattie croniche, che necessitano di essere affrontate non tanto in un’ottica di cura quanto di gestione e accompagnamento.
Cogliati Dezza arriva quindi al racconto del progetto “Microaree” di Trieste. Si tratta di un’iniziativa innovativa sviluppata dall’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste a partire dal 2006, con l’obiettivo di creare dei presidi territoriali, specialmente in contesti disagiati, in grado di offrire una serie di servizi sanitari e sociali in modo integrato, per dare una risposta a tutto tondo alle problematiche delle persone.
Tali contesti, infatti, presentavano dati allarmanti rispetto alle condizioni sociali e sanitarie in termini di elevato consumo di farmaci e medicina specialistica, alta incidenza di patologie e alta mortalità.
Con le Microaree, quindi, si è cercato di migliorare la conoscenza dei bisogni dei loro residenti, migliorare l’uso dei farmaci, l’appropriatezza delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche, curative e riabilitative, a promuovere iniziative di auto-aiuto ed etero-aiuto da parte di non professionali, costruire comunità, promuovere la collaborazione di enti, associazioni, organismi no-profit per elevare il benessere
della popolazione di riferimento. Si è cercato inoltre di realizzare un migliore coordinamento tra servizi diversi che agiscono sullo stesso individuo singolo o sulla famiglia e di promuovere equità nell’accesso alle prestazioni, soprattutto per i cittadini più vulnerabili.
Ognuna delle 17 Microaree ha una sede di riferimento, accesibile al pubblico, docve lavorano a stretto contatto il referente sanitario, i funzionari del Comune e dell’ATER, i servizi sanitari e sociali, le cooperative sociali.
Ogni Microarea è coordinata da un referente, che diventa per la popolazione un “vicino di casa”, un punto di riferimento: il suo valore risiede principalmente nelle relazioni di vicinanza che instaura con la comunità.
I risultati del progetto sono incoraggianti: mostrano che il programma è stato in grado di attivare interazioni sociali positive capaci di risolvere meglio e prima i problemi sanitari, sociali, relazionali e di abitazione, che potrebbero compromettere la salute. È stato quindi in grado di generare capitale sociale che produce salute e riduce le disuguaglianze.
Patrizio Bianchi, Università degli Studi di Ferrara
“Decidiamo che la scuola è un bene pubblico quando è di tutti e quando a tutti insegna il senso di comunità”
È stato poi il turno di Patrizio Bianchi, economista, ex capo della task force del ministero dell’Istruzione per la riapertura delle scuole, nonché ex Assessore della Regione Emilia Romagna.
Con il suo intervento emozionante, Bianchi ci ha accompagnato in un viaggio alla riscoperta del senso più profondo del diritto allo studio, nel solco della nostra Costituzione.
Ha sottolineato la distinzione tra il concetto di “right”, cioè il diritto formale previsto dalle Leggi e dalla Costituzione, da quello di “capability”, ovvero l’effettiva condizione di poter esercitare un diritto. Ci ha fatto riflettere sul fatto che durante l’emergenza sanitaria le bambine e i bambini hanno avuto il diritto formale (right) di andare a scuola ma molte/i non erano in condizioni di farlo. Ed è proprio tra il diritto formale e quello reale che si crea la disuguaglianza.
Adam Smith riteneva che la ricchezza delle nazioni dipenda dalla capacità di organizzare il lavoro e le conoscenze delle persone. Questo, secondo Bianchi, è vero anche oggi, e pone al centro la scuola come motore fondante dello sviluppo.
Il professore ci ha poi accompagnato nella rilettura del concetto di bene pubblico con particolare riferimento alla scuola: secondo Bianchi non è scontato che l’educazione sia un bene comune, bisogna decidere e volere che sia tale. E affinché sia pubblico bisogna fare in modo che sia accessibile a tutte e a tutti, e che educhi alla solidarietà, contribuendo a costruire comunità solidali e inclusive come base dello sviluppo umano.
In italia il calo di investimenti nella scuola si vede oggi nel basso tasso di occupazione dei giovani rispetto alla media europea.
Secondo Bianchi, le priorità di investimento per il futuro in Italia sono la lotta alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, il rilancio dell’istruzione e formazione professionale per dotare il Paese di una nuova base professionalizzante e ridurre la dispersione dei talenti, il rilancio dell’autonomia e del rapporto con il territorio, un piano per il diritto allo studio e l’accesso alle nuove tecnologie.
L’intervento si conclude con una citazione della recente enciclica “Fratelli Tutti”: “Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!”
Secondo Bianchi è esattamente questo il mandato della scuola della nostra epoca.
Digital Care: la tecnologia si prende cura delle persone e della città – Roberta Cocco, Comune di Milano
“Data has always a better idea”
In conclusione di giornata ospitiamo l’intervento di Roberta Cocco, attuale Assessora alla Trasformazione digitale e Servizi civici del Comune di Milano con un lungo passato di manager in Microsoft.
Cocco ci ha portato alla scoperta dei risultati raggiunti negli ultimi quattro anni dal Comune di Milano nell’ambito della trasformazione digitale, con un intervento che ha tenuto insieme la narrazione puntuale di quanto fatto conuna grande forza ispiratrice.
L’Assessora ci ha portato la visione del Comune: capire le esigenze dei cittadini e migliorare la loro vita attraverso il digitale, in un’ottica di sostenibilità, semplificazione dei processi e ottimizzazione dei servizi.
Nel percorso fatto, ci ha raccontato Cocco, è stato fondamentale partire dalla revisione di alcuni processi, per evitare di “digitalizzare l’inefficienza”. La spinta verso il digitale è stata quindi occasione profonda per ripensare al modo con cui venivano storicamente gestiti servizi e procedure interne.
Il lavoro dell’Assessorato si è articolato su 4 pilastri: educazione digitale e skills (afferenti alla sfera culturale), infrastruttura e servizi digitali (afferenti alla sfera tecnologica).
Nella visione di Cocco, l’approccio dell’amministrazione cittadina deve essere sempre più “data driven”. Per fare ciò, il primo passo a MIlano è stato un enorme lavoro di normalizzazione dei dati per fare in modo che i quasi 300 database si “parlassero”. Solo dopo è stato possibile realizzare dei cruscotti che aiutassero gli assessorati e prendere le decisioni. Per Cocco si tratta di un area di innovazione fondamentale perché consente di essere più efficaci nella progettazione delle politiche e di avere strumenti per influenzare, anche internamente, le decisioni.
Il Covid è entrato a gamba tesa sulle attività dell’Assessorato. Cocco ci ha riportato con passione il lavoro fatto nei mesi dell’emergenza sanitaria, quando il suo team è diventato un pivot per l’attività dell’intera amministrazione. “Tutti ci chiedevano aiuto”, ha raccontato l’Assessora, “la domanda di digitale era pervasiva”.
Durante i mesi del lockdown l’emergenza sociale si è manifestata in modo evidente con l’aumento esponenziale delle richieste di aiuto al contact center del Comune, arrivato a gestire 40mila richieste al giorno (rispetto alle 8mila del periodo precedente). Inoltre, si è palesata una grande disuguaglianza digitale relativa all’accesso a internet, che è diventato in questo caso elemento essenziale per la didattica.
Con il Covid, quindi, il digitale è diventato una bussola per orientare le azioni e promuovere l’inclusione.
In questi mesi e anni, racconta Cocco, sul digitale sono stati fatti passi enormi, recuperando un ritardo storico. A marzo 2020, in poche settimane 7.000 dipendenti sono stati messi in condizione di lavorare da remoto, il portale dei servizi al cittadino è stato reso interamente disponibile anche da app (“abbiamo portato l’anagrafe nelle tasche dei cittadini”), è stato istituito un servizio di chatbot su Whatsapp (il primo in europa per una grande città) che ha ridotto notevolmente la pressione sul call center, è stata abilitata la gestione delle giunte e dei consigli in modalità virtuale.
Bellissima inoltre, a detta di Cocco, la relazione con le altre città durante il Covid: con il coordinamento di Anci, gli Assessori al digitale hanno costantemente dialogato per scambiarsi informazioni e soluzioni.
Raccontando le linee di sviluppo futuro, Cocco indica 5 filoni prioritari: inclusione digitale (“la PA ha il dovere di sviluppare servizi digitali per tutti, senza lasciare indietro nessuno”), connettività, semplificazione (“il nostro mantra è “mobile first, one click”: lavoriamo per portare tutti i servizi su mobile e per semplificare i processi”), trasparenza (“il digitale è trasparenza e per questo viene spesso osteggiato”), protezione dei dati, sostenibilità.
Tantissime anche in questo caso le domande degli studenti e delle studentesse. Cocco insiste sul fatto che “chi non vuole arrivare cerca una scusa, chi vuole arrivare trova una strada” e che questo valga a maggior ragione nella PA, dove per innescare il cambiamento non conta più di tanto la dimensione dell’ente quanto il coraggio e la tenacia di chi lo guida.
La classe continua con la mappa dei virus e degli anticorpi con il laboratorio di Social Seed in vista della restituzione del loro progetto durante l’ultimo quarto ed ultimo giorno della scuola.
Dopo la cena sociale alle dieci e mezzo i/le partecipanti sono stati/e richiamati/e in aula per un momento a sorpresa.
Luca Della Godenza – Sindaco di Castelbolognese e socio di RENA ci ha raccontato con grande emozione che cosa ha significato guidare e rappresentare una comunità durante la pandemia.
Lo ha fatto con parole precise e immediate, le sue, e con parole cariche di intensità, quelle dei messaggi che ha ricevuto dai suoi concittadini e concittadine. Lo ha fatto raccontandoci le decisioni prese in estrema rapidità, invendosi soluzioni amministrative creative – e basate sulla fiducia – laddove prima non ne esistevano.
Qui trovate tutte le foto della giornata. Questo articolo è un lavoro di intelligenza collettiva di Francesca Mazzocchi e Emanuele Lazzarini.