Tra i tanti insegnamenti che ci sta fornendo questa crisi economica, così unica – se vogliamo – nel suo genere, quello che più mi ha colpito è che non è possibile pensare di rispondervi usando soltanto strumenti tradizionali. Ce lo hanno insegnato addirittura i nostri governi, nella fase iniziale, quando più o meno all’unisono hanno messo in atto azioni finalizzate a salvaguardare il sistema finanziario, per evitare che si diffondesse il panico fra le imprese e le famiglie. [//]
Personalmente, sono dell’idea che di fronte ad una crisi così globale e durevole, che nel giro di pochissimi anni porterà inevitabilmente ad un rimescolamento degli equilibri competitivi mondiali, chi pensa di seguire il facile ragionamento che “questa è come tutte le altre e prima o dopo l’economia ripartirà”, rischierà di trovarsi pericolosamente vicino al crinale, quando effettivamente la ripresa si sarà riavviata.
Non voglio entrare nel merito dell’efficacia delle diverse politiche economiche dei governi europei e mondiali. Ciò che più mi preoccupa, in questo momento, è l’aspetto micro, l’angolo del singolo territorio – provincia o regione che sia – la visione prospettica della singola impresa, il clima di fiducia delle famiglie e dei lavoratori. Questa crisi, infatti, non può essere affrontata solo in chiave macro, se poi negli altri livelli non vi è altrettanta sensibilità a recepire e a modificare certi comportamenti o a correggere certe disfunzioni.
Le risposte da dare oggi non possono quindi che essere innovative; risposte che in Italia, in generale, non sono purtroppo mai germogliate pienamente.
L’idea di fondo è che sia assolutamente improcrastinabile arrivare ad un gentlemen’s agreement tra tutti gli stakeholders del sistema locale. Arrivare, in altri termini, ad una sorta di “Patto delle responsabilità collettive” (Collective Responsibility Agreement) su scala territoriale, per evitare derive ancora peggiori, che nessuno vorrebbe. Scala territoriale che non potrebbe che essere la provincia.
Oggi un’azione incisiva e condivisa di questo tipo vale molto più di tanti finanziamenti pubblici, che per loro natura sono inevitabilmente individuali, a pioggia e, tradizionalmente, poco allocati in maniera efficiente.
Il Patto dovrebbe servire per definire nello specifico le azioni generali di policy del territorio, cui ogni soggetto qualificato della concertazione dovrebbe attenersi, per la parte di spettanza.
Per la parte imprenditoriale, oggi, più di ieri, è indispensabile mostrare responsabilità e consapevolezza rispetto all’idea iniziale sulla quale ha preso le mosse l’impresa. La cifra della responsabilità sociale di un imprenditore si vede, in questo momento, dal coraggio e dalla perseveranza con la quale vuole continuare a portare avanti il proprio progetto imprenditoriale. Pensare pertanto di utilizzare ancora strumenti tradizionali (come, per esempio, il classico credito a breve o il ricorso alla cassa integrazione), sarebbe soltanto un modo per alleviare temporaneamente la situazione, ma nel lungo periodo non porterebbe a nulla, se non ad un aggravamento della situazione dei conti economici e finanziari dell’azienda.
Va fatto, invece, un salto di qualità da un punto di vista culturale, a partire da un modo di gestire l’azienda secondo una logica più internazionale, diversa da quella tradizionalmente familistica e provinciale che ha caratterizzato gran parte del capitalismo italiano.
In pochi punti, questo vuol dire approfittare di questa crisi per rimettere a posto i conti economici e finanziari. Sappiamo tutti che in generale le nostre imprese sono troppo piccole, sottocapitalizzate, fortemente indebitate e scarsamente redditizie: approfittiamo di questa situazione per invertire questo trend, altrimenti una crisi lunga e così difficile, rischierà di lasciare molte macerie e di allargare la platea di coloro che subiranno ristrettezze sul credito o impennate del costo del denaro. D’altro canto, nella situazione odierna, scivolare fino ad un rating tripla C non è così difficile: basta essere sottocapitalizzati (l’optimum secondo i parametri di Basilea dovrebbe essere un patrimonio netto pari ad almeno 1/3 del capitale investito), avere margini operativi non entusiasmanti, appartenere a un settore in crisi e essere contraddistinti da performance negative. Abbastanza per cadere nei bassifondi della classifica della credibilità creditizia.
Oggi più di ieri, invece, è indispensabile tenere a mente e quotidianamente in equilibrio tre aspetti strettamente intrecciati tra loro, come produzione, economia e finanza. E’ assolutamente indispensabile ricapitalizzare la propria impresa, praticando, se è il caso, anche la soluzione non indolore della fusione; mostrare apertura all’esterno sia verso capitali sia verso nuove managerialità e talenti; essere più chiari e trasparenti nei propri prospetti contabili, e presentare progetti aziendali convincenti e di ampio respiro.
Ma è altresì importante internazionalizzarsi, cercare sinergie, joint venture, collaborazioni con imprese estere, per accordi tecnologici, per trovare nuove fonti d’idee, per conquistare nuovi mercati lontani.
Seguendo la logica che oggi la qualità del prodotto non è più la sola discriminante del successo di un’azienda, ma lo sono diventati anche i fattori immateriali e gli individui, una best practice potrebbe essere quella di destinare almeno un 10% del proprio budget in attività che racchiudano R&D, conoscenza dei mercati e dei potenziali clienti (georeferenziazione dei mercati), piani di comunicazione.
Infine, un problema collaterale, ma oggi cruciale per il futuro delle nostre PMI, è quello del passaggio generazionale, che in un momento come questo, se ben gestito, potrebbe dare nuovo slancio al sistema aziendale, rompendo quegli equilibri e quelle routines gestionali avviati dal fondatore e stimolando un confronto costruttivo con competenze e capacità esterne.
Se questo è lo sforzo “obbligato” che dovrebbero compiere le nostre imprese, però, è legittimo riconoscere loro la pretesa di ottenere anche un salto di qualità da parte del territorio in cui operano, dei loro dipendenti e delle banche.
Come ci insegnano diversi studi, la dimensione territoriale, provinciale, assume oggi un ruolo cruciale nella fase di sviluppo e nel grado di innovazione di un tessuto produttivo. La capacità di attrarre skills è, per molte città, una priorità per il rilancio della propria immagine e della propria economia sulla scena globale. Al contempo è estremamente importante dare una visione unitaria del territorio, concentrando le poche risorse a disposizione in priorità definite e condivise, con scelte anche coraggiose laddove servano. Scelte che non guardino all’immediato, ma siano di ampio respiro. Nella generalità dei casi, i punti più qualificanti, oggi, di una buon’azione di policy dovrebbero mirare all’implementazione d’infrastrutture sia fisiche sia immateriali finalizzate a rendere più fluida la mobilità e a consentire un più ampio accesso alle opportunità della rete (wireless), al risparmio energetico e a un più efficiente e completo ciclo dei rifiuti, alla sburocratizzazione della macchina amministrativa, all’introduzione di misure fiscali incentivanti per le imprese più virtuose e innovative, alla creazione di opportune condizioni per sviluppare un mercato dei manager e dei profili lavorativi più qualificati.
Per quanto concerne il ruolo del sistema bancario, si sa che in Italia, ma non solo, esso è assolutamente vitale per le piccole medie imprese, essendo l’unico vero canale dove poter reperire fondi. Proprio per questo è auspicabile che un salto di qualità del tessuto produttivo sia accompagnato da un altrettanto forte salto di qualità del principale canale di finanziamento. Affinché la capacità d’investire e d’innovare di un’impresa non dipenda soltanto dalla forza contrattuale dell’imprenditore nei confronti del sistema bancario, ma dalla bontà del progetto aziendale che presenta. Oggi si deve ripartire da questo punto. E’ uno dei tanti insegnamenti che ci lascia questa crisi.
Come potrebbe essere utile, allora, il sistema bancario in questa fase? Andando incontro alle imprese, laddove queste esprimessero l’intenzione di rinegoziare vecchi mutui, sottoscritti tempo addietro ad un tasso d’interesse fisso molto più alto rispetto a quello odierno; oppure accogliendo la loro volontà di fare operazioni di consolidamento del debito, per spalmare il finanziamento su un arco temporale il più lungo possibile, in modo da ridare un po’ di ossigeno ai loro conti.
Inoltre, rendendosi disponibile ad entrare direttamente come socio, e non solo come creditore, nel capitale di alcune imprese, laddove queste non avessero disponibilità monetarie per ricapitalizzare saldamente il proprio patrimonio sociale, nonché supportando le aziende (non solo finanziariamente) nei progetti di espansione commerciale all’estero e di stabile presenza sui mercati internazionali.
Infine, non può venire meno in questo ambito la responsabilità dei sindacati dei lavoratori, ai quali oggi deve essere chiesto di dare una mano a riscrivere le regole per una pacifica convivenza e per una fattiva collaborazione, in una logica di condivisione delle scelte e delle difficoltà aziendali e del territorio nel suo genere. E’ assolutamente necessario e auspicabile ritornare alla filosofia che ha mosso le tante riforme condivise di questi ultimi decenni, avviate non solo in ambito nazionale. In cambio, la contropartita potrebbe essere quella di prevedere, nell’ambito di un accordo separato con le associazioni di categoria, la possibilità di applicare in maniera più efficace la contrattazione decentrata a livello di singolo territorio/provincia, utilizzando parametri tradizionali legati alla produttività aziendale.
Seguendo la logica di sfruttare un tale momento storico per uscirne più forti di prima, queste e altre ragioni m’inducono a ritenere che, oggi, un patto di sistema sia assolutamente indispensabile in chiave provinciale per rispondere a questa crisi in maniera collettiva e responsabile. Altrimenti, il rischio è quello di scivolare definitivamente verso una depressione economica che potrebbe scatenare tensioni sociali dalle conseguenze difficilmente prevedibili e gestibili. Non dobbiamo pensare che di fronte ad una crisi di questa natura una provincia, seppur piccola, non abbia le armi adatte per rispondervi, stante anche la scarsezza di risorse a disposizione. Oggi, l’aspetto glocale non è soltanto una chiave fondamentale da usare in momenti di prosperità, ma lo diventa anche in momenti come questi, anzi è proprio da questi momenti che si comprende la cifra innovativa di un territorio, la sua capacità di risposta alle difficili sfide internazionali, la misura del suo modo di “pensare globale e agire locale”.
Personalmente, sono dell’idea che di fronte ad una crisi così globale e durevole, che nel giro di pochissimi anni porterà inevitabilmente ad un rimescolamento degli equilibri competitivi mondiali, chi pensa di seguire il facile ragionamento che “questa è come tutte le altre e prima o dopo l’economia ripartirà”, rischierà di trovarsi pericolosamente vicino al crinale, quando effettivamente la ripresa si sarà riavviata.
Non voglio entrare nel merito dell’efficacia delle diverse politiche economiche dei governi europei e mondiali. Ciò che più mi preoccupa, in questo momento, è l’aspetto micro, l’angolo del singolo territorio – provincia o regione che sia – la visione prospettica della singola impresa, il clima di fiducia delle famiglie e dei lavoratori. Questa crisi, infatti, non può essere affrontata solo in chiave macro, se poi negli altri livelli non vi è altrettanta sensibilità a recepire e a modificare certi comportamenti o a correggere certe disfunzioni.
Le risposte da dare oggi non possono quindi che essere innovative; risposte che in Italia, in generale, non sono purtroppo mai germogliate pienamente.
L’idea di fondo è che sia assolutamente improcrastinabile arrivare ad un gentlemen’s agreement tra tutti gli stakeholders del sistema locale. Arrivare, in altri termini, ad una sorta di “Patto delle responsabilità collettive” (Collective Responsibility Agreement) su scala territoriale, per evitare derive ancora peggiori, che nessuno vorrebbe. Scala territoriale che non potrebbe che essere la provincia.
Oggi un’azione incisiva e condivisa di questo tipo vale molto più di tanti finanziamenti pubblici, che per loro natura sono inevitabilmente individuali, a pioggia e, tradizionalmente, poco allocati in maniera efficiente.
Il Patto dovrebbe servire per definire nello specifico le azioni generali di policy del territorio, cui ogni soggetto qualificato della concertazione dovrebbe attenersi, per la parte di spettanza.
Per la parte imprenditoriale, oggi, più di ieri, è indispensabile mostrare responsabilità e consapevolezza rispetto all’idea iniziale sulla quale ha preso le mosse l’impresa. La cifra della responsabilità sociale di un imprenditore si vede, in questo momento, dal coraggio e dalla perseveranza con la quale vuole continuare a portare avanti il proprio progetto imprenditoriale. Pensare pertanto di utilizzare ancora strumenti tradizionali (come, per esempio, il classico credito a breve o il ricorso alla cassa integrazione), sarebbe soltanto un modo per alleviare temporaneamente la situazione, ma nel lungo periodo non porterebbe a nulla, se non ad un aggravamento della situazione dei conti economici e finanziari dell’azienda.
Va fatto, invece, un salto di qualità da un punto di vista culturale, a partire da un modo di gestire l’azienda secondo una logica più internazionale, diversa da quella tradizionalmente familistica e provinciale che ha caratterizzato gran parte del capitalismo italiano.
In pochi punti, questo vuol dire approfittare di questa crisi per rimettere a posto i conti economici e finanziari. Sappiamo tutti che in generale le nostre imprese sono troppo piccole, sottocapitalizzate, fortemente indebitate e scarsamente redditizie: approfittiamo di questa situazione per invertire questo trend, altrimenti una crisi lunga e così difficile, rischierà di lasciare molte macerie e di allargare la platea di coloro che subiranno ristrettezze sul credito o impennate del costo del denaro. D’altro canto, nella situazione odierna, scivolare fino ad un rating tripla C non è così difficile: basta essere sottocapitalizzati (l’optimum secondo i parametri di Basilea dovrebbe essere un patrimonio netto pari ad almeno 1/3 del capitale investito), avere margini operativi non entusiasmanti, appartenere a un settore in crisi e essere contraddistinti da performance negative. Abbastanza per cadere nei bassifondi della classifica della credibilità creditizia.
Oggi più di ieri, invece, è indispensabile tenere a mente e quotidianamente in equilibrio tre aspetti strettamente intrecciati tra loro, come produzione, economia e finanza. E’ assolutamente indispensabile ricapitalizzare la propria impresa, praticando, se è il caso, anche la soluzione non indolore della fusione; mostrare apertura all’esterno sia verso capitali sia verso nuove managerialità e talenti; essere più chiari e trasparenti nei propri prospetti contabili, e presentare progetti aziendali convincenti e di ampio respiro.
Ma è altresì importante internazionalizzarsi, cercare sinergie, joint venture, collaborazioni con imprese estere, per accordi tecnologici, per trovare nuove fonti d’idee, per conquistare nuovi mercati lontani.
Seguendo la logica che oggi la qualità del prodotto non è più la sola discriminante del successo di un’azienda, ma lo sono diventati anche i fattori immateriali e gli individui, una best practice potrebbe essere quella di destinare almeno un 10% del proprio budget in attività che racchiudano R&D, conoscenza dei mercati e dei potenziali clienti (georeferenziazione dei mercati), piani di comunicazione.
Infine, un problema collaterale, ma oggi cruciale per il futuro delle nostre PMI, è quello del passaggio generazionale, che in un momento come questo, se ben gestito, potrebbe dare nuovo slancio al sistema aziendale, rompendo quegli equilibri e quelle routines gestionali avviati dal fondatore e stimolando un confronto costruttivo con competenze e capacità esterne.
Se questo è lo sforzo “obbligato” che dovrebbero compiere le nostre imprese, però, è legittimo riconoscere loro la pretesa di ottenere anche un salto di qualità da parte del territorio in cui operano, dei loro dipendenti e delle banche.
Come ci insegnano diversi studi, la dimensione territoriale, provinciale, assume oggi un ruolo cruciale nella fase di sviluppo e nel grado di innovazione di un tessuto produttivo. La capacità di attrarre skills è, per molte città, una priorità per il rilancio della propria immagine e della propria economia sulla scena globale. Al contempo è estremamente importante dare una visione unitaria del territorio, concentrando le poche risorse a disposizione in priorità definite e condivise, con scelte anche coraggiose laddove servano. Scelte che non guardino all’immediato, ma siano di ampio respiro. Nella generalità dei casi, i punti più qualificanti, oggi, di una buon’azione di policy dovrebbero mirare all’implementazione d’infrastrutture sia fisiche sia immateriali finalizzate a rendere più fluida la mobilità e a consentire un più ampio accesso alle opportunità della rete (wireless), al risparmio energetico e a un più efficiente e completo ciclo dei rifiuti, alla sburocratizzazione della macchina amministrativa, all’introduzione di misure fiscali incentivanti per le imprese più virtuose e innovative, alla creazione di opportune condizioni per sviluppare un mercato dei manager e dei profili lavorativi più qualificati.
Per quanto concerne il ruolo del sistema bancario, si sa che in Italia, ma non solo, esso è assolutamente vitale per le piccole medie imprese, essendo l’unico vero canale dove poter reperire fondi. Proprio per questo è auspicabile che un salto di qualità del tessuto produttivo sia accompagnato da un altrettanto forte salto di qualità del principale canale di finanziamento. Affinché la capacità d’investire e d’innovare di un’impresa non dipenda soltanto dalla forza contrattuale dell’imprenditore nei confronti del sistema bancario, ma dalla bontà del progetto aziendale che presenta. Oggi si deve ripartire da questo punto. E’ uno dei tanti insegnamenti che ci lascia questa crisi.
Come potrebbe essere utile, allora, il sistema bancario in questa fase? Andando incontro alle imprese, laddove queste esprimessero l’intenzione di rinegoziare vecchi mutui, sottoscritti tempo addietro ad un tasso d’interesse fisso molto più alto rispetto a quello odierno; oppure accogliendo la loro volontà di fare operazioni di consolidamento del debito, per spalmare il finanziamento su un arco temporale il più lungo possibile, in modo da ridare un po’ di ossigeno ai loro conti.
Inoltre, rendendosi disponibile ad entrare direttamente come socio, e non solo come creditore, nel capitale di alcune imprese, laddove queste non avessero disponibilità monetarie per ricapitalizzare saldamente il proprio patrimonio sociale, nonché supportando le aziende (non solo finanziariamente) nei progetti di espansione commerciale all’estero e di stabile presenza sui mercati internazionali.
Infine, non può venire meno in questo ambito la responsabilità dei sindacati dei lavoratori, ai quali oggi deve essere chiesto di dare una mano a riscrivere le regole per una pacifica convivenza e per una fattiva collaborazione, in una logica di condivisione delle scelte e delle difficoltà aziendali e del territorio nel suo genere. E’ assolutamente necessario e auspicabile ritornare alla filosofia che ha mosso le tante riforme condivise di questi ultimi decenni, avviate non solo in ambito nazionale. In cambio, la contropartita potrebbe essere quella di prevedere, nell’ambito di un accordo separato con le associazioni di categoria, la possibilità di applicare in maniera più efficace la contrattazione decentrata a livello di singolo territorio/provincia, utilizzando parametri tradizionali legati alla produttività aziendale.
Seguendo la logica di sfruttare un tale momento storico per uscirne più forti di prima, queste e altre ragioni m’inducono a ritenere che, oggi, un patto di sistema sia assolutamente indispensabile in chiave provinciale per rispondere a questa crisi in maniera collettiva e responsabile. Altrimenti, il rischio è quello di scivolare definitivamente verso una depressione economica che potrebbe scatenare tensioni sociali dalle conseguenze difficilmente prevedibili e gestibili. Non dobbiamo pensare che di fronte ad una crisi di questa natura una provincia, seppur piccola, non abbia le armi adatte per rispondervi, stante anche la scarsezza di risorse a disposizione. Oggi, l’aspetto glocale non è soltanto una chiave fondamentale da usare in momenti di prosperità, ma lo diventa anche in momenti come questi, anzi è proprio da questi momenti che si comprende la cifra innovativa di un territorio, la sua capacità di risposta alle difficili sfide internazionali, la misura del suo modo di “pensare globale e agire locale”.